I SEI VINI ALPINI CHE CAMBIANO LA VAL DI CEMBRA
La cantina con i vigneti fino a 900 metri
Esiste il vino postmoderno? Sì, secondo Peter Pharos, che ne ha scritto nel sito di Tim Atkin, master of wine britannico: «si è passati dal vino tecnologico a quello internazionale, fino al fenomeno del naturale, al tempo stesso tecnico e antitecnologico. Ora regole, gerarchie e tradizioni, non esistono se non inserite in un enorme pastiche». Vero o no, i segnali di un sovvertimento dei canoni si vedono già. Prendiamo la Cantina Cembra, nell’omonima valle trentina, con 300 ettari di vigneti fino a 900 metri d’altitudine (tra i più alti d’Italia), 700 chilometri di muretti a secco (tutelati dall’Unesco) per lavorare su pendenze fino al 50%. Dagli anni Cinquanta i soci (ora 330) di questa cantina sociale vendevano le uve. Poi, dal 2021, è arrivato il colosso
Cavit. E anche grazie al clima mutato, pure nelle zone dove si faticava a far maturare l’uva, ora i grappoli sono perfetti. La veneranda cantina sociale è diventata quindi una fucina di vini a tiratura limitata (in tutto 40 mila bottiglie) dai filari migliori. «Sono nati», elenca il giovane enologo Stefano Rossi (nell’illustrazione qui sopra) «sei nuovi vini che arrivano dalle vigne più interessanti della Val di Cembra, alcune dalla potenzialità finora inesplorata». Sono l’Oro Rosso Riserva, un Trentodoc a dosaggio zero, uve Chardonnay freschezza e tensione; il Müller Thurgau pronto ad una longevità decennale; il Riesling dalla spiccata acidità; lo Chardonnay di buona struttura; l’intenso Pinot nero e infine lo Zymbra, riuscita cuvée con profumi fruttati del Müller Thurgau, la sapidità del Riesling e l’eleganza dello Chardonnay.