IL COVID È STATA LA NOSTRA PRIMA «MALATTIA X» PREPARIAMOCI ALLA PROSSIMA
Esattamente che cosa voleva dire il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, quando al World Economic Forum di Davos ha detto che il Covid è stata «la nostra prima malattia X»?
La malattia X indica una malattia contagiosa di cui, al momento della sua insorgenza, non si conosce nulla. Ovvero, non si conosce il patogeno che la provoca, a quale famiglia di virus, batteri o funghi appartenga, non si conoscono le vie di trasmissione, né il ventaglio di ospiti che infetta.
Ma bisogna darsi delle priorità nella ricerca: quale è il virus con il maggiore potenziale pandemico? La storia ci insegna che i principali indiziati di poter causare una pandemia sono i virus influenzali. Dal 1900 al 1999 ci sono state tre pandemie influenzali: la Spagnola, H1N1, 1917-1919; l’Asiatica H2N2, 1957 e la Hong Kong H3N2 1968. Tutti questi virus avevano la caratteristica di avere acquisito dei geni che originavano da virus animali. Il virus della Spagnola e dell’Asiatica avevano geni di origine aviaria; l’influenza Hong Kong geni di virus del suino. Questi virus hanno fatto il giro del mondo perché hanno infettato una popolazione vergine con grande efficacia, e così hanno provocato pandemie.
I coronavirus erano considerati meno a rischio di fare esplodere una pandemia, anche perché la storia recente sembrava non supportare questa teoria. Il primo coronavirus che ci ha spaventati nel 2002 è stato il virus Sars 1; quello che ci ha portato via Carlo Urbani, medico e microbiologo, il primo a identificare e classificare la Sars che fra il 2002 e il 2003 ha provocato 774 vittime accertate, fra cui lo stesso Urbani. Il virus Sars1 ha avuto origine in un pipistrello asiatico e da lì — con un primo salto di specie attraverso lo zibetto (una specie di donnola) — è poi saltato all’uomo infettando circa 8 mila persone e uccidendone circa il 10%. Non era un virus molto contagioso e quindi le autorità sanitarie sono riuscite ad arrestarne la diffusione e ad estinguere i focolai.
Il secondo coronavirus che ci riguarda è emerso in Medio Oriente nel 2012. Anch’esso derivava dai pipistrelli. Questi ultimi hanno habitat condivisi con altri animali, tra cui i dromedari che non solo si sono infettati, ma hanno anche infettato l’uomo. E così ci sono stati 2600 casi di infezione e poco più di 900 decessi (36% mortalità). I coronavirus apparivano quindi poco trasmissibili e alquanto virulenti e quindi erano considerati meno a rischio di innescare una pandemia.
E invece madre natura ci ha dato una lezione di umiltà. Non conosciamo sufficientemente in dettaglio i meccanismi che possono trasformare uno “spillover” in un’emergenza sanitaria che riguarda tutto il mondo. Di certo ciò non significa che non possiamo prepararci (perché non conosciamo il nemico) anzi significa che dobbiamo prepararci proprio perché non conosciamo il nemico, che per ora chiameremo X.
LA «MALATTIA X» È UNA MALATTIA CONTAGIOSA DI CUI, ALL’INSORGENZA, NON SI CONOSCE NULLA. LA LEZIONE DEL CORONAVIRUS: TENERSI PRONTI