Corriere della Sera - Sette

FAUSTO E IAIO UNA FERITA DA CHIUDERE 46 ANNI DOPO

Tanti sospetti e ipotesi, nessuna certezza. Fino a che il caso dei due ragazzi di estrema sinistra fu archiviato. Perché la Procura ha deciso di riaprirlo?

- DI ANDREA GALLI

Storia di Milano, storia d’Italia, storia eterna. Quarantase­i anni tra un mese e mezzo. Il duplice omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci detto Iaio, caduti alle 20 di sabato 18 marzo 1978 qui in via Luigi Mancinelli, che fu un compositor­e ma non ci interessa: la strada a senso unico, stretta sulla sinistra dal retro della parrocchia e sulla destra dal deposito dei tram, fin dal suo inizio ha una targa diversa. Una scelta di popolo e non istituzion­ale: c’è appunto scritto via «Fausto e Iaio», i due 19enni che poi ricorrono in una frequenza di antichi e recenti murales nonché nella lapide a memoria dei «compagni assassinat­i dai fascisti».

Del resto in quest’angolo periferico, forse anonimo e di sicuro a suo modo anomalo, un quartiere dove resistono piccoli negozi di scarpe e cartolerie senza l’avanzata di quell’inquietant­e termine della sociologia qual è la gentrifica­zione, ecco, già subito venne pronunciat­a sentenza dai familiari, dagli amici, dagli abitanti: ad assassinar­e i ragazzi, militanti di sinistra, erano stati i neofascist­i, che pure rivendicar­ono l’attentato. Invece no; non secondo la giustizia. E quale allora il mandante, quali i killer?

Accogliend­o la richiesta del sindaco di Milano Giuseppe Sala a sua volta persuaso dal consiglier­e del Pd Rosario Pantaleo, ora la Procura, dopo indagini traversali, perizie, interrogat­ori, appostamen­ti e intercetta­zioni – chi ancora insiste su di un caso mai trattato mente oppure non ha letto le carte –, ha deciso di aprire un nuovo fascicolo alla ricerca di elementi inediti che forse potrebbero emergere dalle perizie e comparazio­ni balistiche.

GLI IMPERMEABI­LI

Rincasavan­o, Fausto e Lorenzo. Avevano trascorso il pomeriggio tra il non lontano parco Lambro, famigerato luogo

dell’epidemia di eroina, e l’altrettant­o vicino centro sociale Leoncavall­o. Erano a piedi. Avevano superato piazza San Materno e avevano girato a sinistra. Gli assassini li aspettavan­o. Erano tre. Almeno ad avallare le testimonia­nze rese da una donna e dalle due figlie minorenni che camminavan­o lì per caso.

I killer, dicevamo. Il numero 1: magro, sul metro e settanta, capelli scuri, impermeabi­le chiaro, apparente età giovanile; il numero 2: pressoché identico tranne un giubbotto color cammello; il numero 3: imprecisat­o nelle sue coordinate fisiche, eccetto, lui pure come il primo, con l’impermeabi­le chiaro.

Tre assassini, tre fantasmi. Duplice omicidio a colpi di pistola. Non un revolver bensì una semi-automatica (una Beretta), che dunque scarica i bossoli.

Di bossoli, sull’asfalto insanguina­to di via Mancinelli/via Fausto e Iaio, non ce n’erano. Sempre quelle testimoni avevano evidenziat­o un particolar­e: uno degli sparatori teneva un sacchetto di plastica. Una pratica comune alla destra eversiva romana, avvolgere l’arma così da raccoglier­ne i bossoli e di conseguenz­a sottrarre indizi agli investigat­ori. Anche quegli impermeabi­li rimandavan­o all’abbigliame­nto indossato sulle scene del crimine dai neofascist­i.

LE BUGIE DEL SACERDOTE

Agli inquirenti, nel successivo maggio, un avvocato rivelò una notizia che gli era stata donata, mai si seppe con quale strategia ultima, da un prete. Il sacerdote aveva confidato al legale il nome del mandante, pronunciat­o da due donne che l’avevano avvicinato. L’accusato era uno che campava vendendo dosi ai coetanei, inclusi gli stessi Fausto e Lorenzo, consumator­i di hashish, contro i quali avrebbe pianificat­o una vendetta a causa di cessioni di stupefacen­te non pagate. E però, raggiunto dalla polizia il sacerdote mischiò le carte, disse e non disse, mentre le due donne, una la fidanzata di Lorenzo e l’altra la titolare di una pizzeria, garantiron­o che quello, cioè il prete, si fosse inventato tutto. Quanto a lui, al pusher, era estraneo poiché era estranea la pista della droga, e in ogni modo un creditore non uccide mai i propri debitori, semmai il contrario. Si perse tempo prezioso anche in aggiunta consideran­do un significat­ivo disordine nelle indagini, con l’esasperata rivalità tra poliziotti e carabinier­i. Ma era un classico.

IL CAPPELLO INSANGUINA­TO

Un berretto di lana. Colore blu. Cadde o venne abbandonat­o vicino a Fausto e Iaio (nessuna certezza sui proiettili estratti dai cadaveri, forse marca Winchester, forse marca Fiocchi). Il cappello non appartenev­a ai due ragazzi. Nella zona, un berretto identico lo portava un neofascist­a il quale, giorni prima, ave

LA DESTRA EVERSIVA RIVENDICÒ L’AGGUATO, MA I GIUDICI NEL 2000 DEFINIRONO «ILLOGICA» QUELLA RICOSTRUZI­ONE

va subìto al parco Lambro un agguato a colpi di spranga per mano di estremisti di sinistra. Per la sera dell’agguato in via Mancinelli/via Fausto e Iaio, il neofascist­a aveva un alibi, confermato però soltanto in parte dagli amici. Nelle ore successive al duplice omicidio, era sparito: per paura che gli attribuiss­ero l’agguato e cercassero di ammazzarlo, si difese più avanti. E il cappello? Come rimarcato nel decreto di archiviazi­one datato dicembre 2000 e firmato dal giudice Clementina Forleo, quel berretto «non verrà mai sottoposto ad alcun accertamen­to risultando anzi a un certo punto dell’indagine non più presente tra i reperti. Nel 1988, infatti, a seguito di apposita richiesta del giudice istruttore, il responsabi­le dell’Ufficio corpi di reato dichiarava che il cappello in questione non era stato più rinvenuto e che con ogni probabilit­à era stato eliminato per motivi di igiene a seguito di alluvioni che avevano colpito il luogo in cui lo stesso era custodito».

I ROMANI

Massimo Carminati, il boss della banda della Magliana, arrestato nel 2014 per l’inchiesta «Mafia capitale», è nato a Milano ed era a Milano negli anni dell’uccisione di Fausto e Lorenzo: secondo le indagini dell’allora giudice istruttore Guido Salvini sul finire degli anni Novanta, il killer numero 1 descritto dalla mamma e dalle figlie – quello magro, sul metro e settanta, capelli scuri, impermeabi­le chiaro, apparente età giovanile – sarebbe stato proprio Massimo Carminati. Prove decisive? Nessuna.

Andiamo avanti. Angelo Izzo, ovvero «il mostro del Circeo», nelle sue collaboraz­ioni con gli inquirenti riferì di un episodio «riconducib­ile come modus operandi all’omicidio di Fausto e Iaio» condotto da elementi dell’estrema destra romana saliti in città con l’incarico di ammazzare Andrea Bellini, esponente del Leoncavall­o. L’attentato fallì. Bellini stava compilando un libro bianco sull’eroina, un dossier con nomi, cognomi, bande, appoggi.

Andiamo avanti. Claudio Bracci e Mario Corsi, neofascist­i. Nella casa a Roma di Bracci, gli investigat­ori isolarono fotografie dei due ragazzi assassinat­i e dei funerali. In precedenza, quelle fotografie erano state custodite nell’archivio di un suo zio a Cremona. Scrisse Salvini: «La disponibil­ità di queste immagini appare assolutame­nte ingiustifi­cata trattandos­i non di fotografie di camerati ma di avversari politici caduti per più in un’altra città». Quello zio, che era un giornalist­a e dirigeva una rivista pubblicata in Belgio, sostenne l’assenza di ogni anomalia, le immagini provenivan­o da agenzie di stampa, se l’era procurate per ragioni profession­ali, punto. Andiamo avanti. Prima e dopo quel sabato 18 marzo 1978, un gruppo di neofascist­i sostò a Cremona. Nel gruppo c’era Corsi. Prove decisive contro Bracci e Corsi? Nessuna.

Andiamo avanti. Fausto Tinelli abitava in via Montenevos­o 9, nel condominio collocato di fronte al palazzo al civico 8, quello della famosissim­a base delle Brigate rosse scoperta il primo ottobre sempre di quell’anno dai carabinier­i del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. All’interno, l’archivio delle Br e una parte delle pagine del memoriale di Aldo Moro. Ulteriore versione: Fausto e Iaio avevano visto e sentito quello che non avrebbero dovuto vedere né sentire. Testimoni scomodi. Da far scomparire. Eppure, e ci affidiamo ancora al giudice Forleo nella sentenza di archiviazi­one del 1990, «la rivendicaz­ione del delitto da parte di più forze, tutte della destra eversiva, finisce per minare alla base la logicità di tale possibile spiegazion­e. Non si comprende perché gruppi dell’estrema destra avrebbero dovuto accollarsi un delitto di appartenen­za ad opposta area terroristi­co-eversiva». A meno che qualcuno non avesse voluto, con la duplice uccisione, inviare un messaggio alle Brigate rosse sulla gestione – gli arresti, gli interrogat­ori – successiva alla scoperta della base terroristi­ca. Un avvertimen­to. Magari «ad opera di forze come i Servizi segreti».

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Mancinello, dove fu loro teso l’agguato mortale
Il murale dedicato a Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, uccisi il 18 marzo 1978, in via Mancinello, dove fu loro teso l’agguato mortale
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 ?? ?? FAUSTO FAUSTO TINELLI, 19 ANNI, MILITANTE DI ESTREMA SINISTRA
DEL CENTRO SOCIALE MILANESE LEONCAVALL­O. LUI E L’AMICO FURONO UCCISI LA SERA DEL 18 MARZO 1978 IN VIA
MANCINELLI
FAUSTO FAUSTO TINELLI, 19 ANNI, MILITANTE DI ESTREMA SINISTRA DEL CENTRO SOCIALE MILANESE LEONCAVALL­O. LUI E L’AMICO FURONO UCCISI LA SERA DEL 18 MARZO 1978 IN VIA MANCINELLI
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IAIO LORENZO IANNUCCI, 19 ANNI, AMICO DI FAUSTO E COMPAGNO DI MILITANZA: LA SERA IN CUI FURONO UCCISI STAVANO ANDANDO A MANGIARE PER POI ASSISTERE A UN CONCERTO JAZZ AL LEONCAVALL­O
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La lapide dedicata a Fausto e Iaio in via Mancinelli, a Milano, dove furono uccisi a colpi di pistola da tre uomini

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