Corriere della Sera - Sette

QUEL «SI TAGLI LA BARBA, È BIANCA!» ED È SUBITO BERLUSCONI-NOSTALGIA

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

È strano come il tempo trasfiguri le cose, addolcisca i ricordi e rivaluti le persone scomparse. L‘altro giorno, sistemando un armadio di casa, è saltata su una scatola rossa piena di cravatte ancora nel cellophane, mai usate. Del genere Commendato­re, o Cavaliere: quelle di seta con i disegnini geometrici, preferibil­mente su sfondo blu. Sul retro di ciascuna, una targhetta con la firma dell’artigiano e la scritta Handmade in Italy for Silvio Berlusconi.

Così mi sono ricordato: alla fine di un’intervista a Palazzo Grazioli il Cavaliere ne fece omaggio a me, nonostante l’evidente diversità dei miei gusti in materia, e al mio collega Tommaso Labate, l’essere umano con il look più inadatto a una cravatta. Ma tant’è, penso che lui usasse questi accessori per uomini come faceva con quei piccoli gioielli a forma di “farfallina” che regalava alle signore: ne teneva una stanza piena e ringraziav­a così i suoi ospiti per il piacere della compagnia.

Avevo messo subito da parte quelle cravatte, al punto da dimenticar­le. L’idea di indossare un indumento “firmato” Berlusconi non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello. Non sono mai stato tra gli odiatori del Cavaliere. Anzi, direi che grazie a lui ho scoperto una vasta gamma di difetti della sinistra di cui prima non mi ero accorto. Non ha cambiato il Paese, Berlusconi; ma ha cambiato la testa di tanti, un po’ anche la mia, anche se non l’ho mai votato e mai avrei potuto. Trovavo in ogni caso insopporta­bili e perfino triviali le forme di adorazione acritica di cui era circondato; al punto da escludere come un atto di feticismo l’ipotesi di andare in giro con addosso le sue cravatte. E invece…

Invece il tempo passa. E ora mi fa sorridere, con una punta di compiaciut­a nostalgia, ciò che prima disprezzav­o con cipiglio. Così ne ho tirata fuori una e l’ho indossata. È stato divertente. Non mi stava neanche male. E così, sull’onda dei ricordi, mi è tornato in mente un altro tic estetico del Cavaliere. Ogni volta che lo incontravo, mi prendeva da parte e sottovoce mi sussurrava: «Si tagli quella barba, è bianca!». Il suo giovanilis­mo gli faceva odiare i colori “terza-età”. E, da buon venditore, credeva che non ci si potesse fidare di uno che si nasconde il viso. Chissà che cosa direbbe oggi a vedere in tv tanti politici del centrodest­ra con pizzetti alla Italo Balbo o alla Gabriele D’Annunzio, dai ben noti Pozzolo&Del Mastro in giù.

In questa sua ossessione per il mento glabro, forse senza saperlo, Berlusconi la pensava come Mussolini: «Sono contrario alla barba», disse all’Associated Press nel 1926, «è segno di decadenza. La barba viene di moda con l’incipiente declino della gloria imperiale. Il fascismo fu la giovinezza dei visi sbarbati di fresco. Io devo usare una lama ogni volta che mi rado perché non esistono ancora lamette capaci di resistere a più di una rasatura della mia barba. La migliore per ora, è la Gillette». Solo che il Duce applicava questa teoria tricologic­a estrema anche al cranio. Berlusconi, come sappiamo, lì no.

IL CAVALIERE AVEVA SCARSA FIDUCIA IN CHI SI COPRE IL VISO ANCHE MUSSOLINI LA PENSAVA COSÌ (LO RIVELA UNA FRASE DEL 1926)

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