Corriere della Sera - Sette

LASCIAMO LE MADRI COME SI LASCIA UNA CITTÀ NATALE (NESSUNO CREDE SIA PER SEMPRE)

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Ci sono canzoni italiane che non riesco a sentire senza che un groppo mi impedisca di parlare. Non sono capolavori, non sono autoriali, non sono riconosciu­te dalla critica, e nemmeno le includerei tra le mie preferite. Ma basta che la radio ne diffonda le prime note e subito devo asciugarmi gli occhi.

Sono le canzoni del 1987, l’anno in cui da Reggio siamo andati a vivere in Liguria. È l’anno in cui il Festival di Sanremo lo vinsero Morandi, Tozzi e Ruggeri con Si può dare di più, l’anno di Figli,il più bel brano di Totò Cutugno, quello in cui nelle nuove proposte si impose Michele Zarrillo: io so a memoria La notte dei pensieri, pure se non mi piace. Soprattutt­o, l’87 è l’anno di Bella d’estate.

Una volta – non so dove fossimo, c’era gente intorno a noi – da una cassa è partito «È solo un addio / Credimi, io non ci penso mai»; ho guardato mia madre, aveva gli occhi lucidi, le ho sorriso. Non c’è stato bisogno di dire nulla. In mezzo agli altri, isolate dalla voce di Mango, abbiamo sentito i nodi della nostra storia comune stringerci l’una all’altra, è bastata una canzone a ricordarci chi eravamo.

L’estate dell’87 mia madre era poco più che una ragazza, quando mio fratello e io ci svegliavam­o preparava il frappé per la colazione, ne era golosa anche lei, girava per casa in mutande e reggiseno per il caldo, tanto c’eravamo solo noi, i suoi bambini – mio padre al lavoro, nessun uomo a invadere il suo regno, nessun altro a penetrare il territorio della nostra comunione, della nostra interdipen­denza, quella specie di Eden inaccessib­ile, in cui il mondo intero aveva il volto di mia madre e la sua mancanza era la fine di tutto.

Ho conosciuto la felicità di fronte alla giovinezza di mia madre, al suo corpo svestito ed energico, sempre mobile, che regnava sulla casa, all’allegria con cui ci metteva il costume per andare in spiaggia, all’avidità con cui ci baciava il collo fino a farci male, alla musica con cui inondava le mattine assolate, e cantava. Ho lasciato mia madre come si lascia una città natale – nessuno crede mai che sia per sempre. Crede che ci sarà tempo per tornare, che niente di quel che è stato andrà perduto. L’ho lasciata perché è così che si cresce, e solo quando è sfiorita la mia, di giovinezza, ho sentito i contraccol­pi di quella separazion­e: che sacrificio implicasse diventare adulti.

Fa male in ritardo, quando tutti sono ormai invecchiat­i. A volte mi chiedo in quale preciso momento, e quanto, abbia fatto male a lei. Veder decadere il suo regno di sole e schiuma al caffè e canzoni italiane, smettere di essere per i figli il mondo intero, accettare la fine di quella forma assoluta, irripetibi­le, di amore.

LE CANZONI DI SANREMO 1987 E SOPRATTUTT­O BELLA D’ESTATE DI MANGO MI RIPORTANO ALLA STAGIONE DI QUELL’AMORE ASSOLUTO, IRRIPETIBI­LE

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