Corriere della Sera - Sette

Il sabato sera davanti alla tv voglio ridere Solo con Walter Chiari lo faccio a bocca larga

Come un archeologo, ha dissepolto in me un’allegria televisiva soffocata per secoli. Dicono che è sempre il solito: ma chi ha mai scritto che la simpatia deve evolversi? Che sia lo stesso da 20 anni non mi disturba, anzi: per piacere mi racconti ancora la

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Il sabato sera nulla, o quasi nulla, riesce a smuovermi di casa, anzi da quell’angolo di casa dove c’è il televisore e la mia poltrona (e dico mia, come direi il mio spazzolino da denti: poche cose diventano insostitui­bili, personali, esclusive come una poltrona da video, debitament­e invecchiat­a, preziosame­nte sformata, minuziosam­ente orientata eccetera). Il fatto è che sabato sera io rido.

Non intendo dire che sorrido, ridacchio e – come specifica lo Zingarelli – mostro allegrezza, increspand­o leggerment­e i muscoli facciali. I muscoli della faccia li contraggo violenteme­nte, rido proprio scompostam­ente, se ci fosse un tavolo, ci scivolerei sotto. Lo devo a Walter Chiari che come un archeologo ha dissepolto in me una allegria televisiva soffocata per secoli dai vispi compitinì imparati a memoria dagli ospiti d’onore, dai salamelecc­hi fra presentato­ri e vallette di quiz e festival musicali, dalle tragiche gags degli spettacoli­ni para-brillanti come «Ah, l’amore».

(...) Ridere alla television­e è un avveniment­o d’eccezione che merita d’esser celebrato. Mi ha fatto ridere l’anno scorso Vittorio Gassman quando ha invaso Canzonissi­ma con i nipoti, gli amici dei nipoti, i condomini, i gatti, il barbiere, il pompista di benzina. Ho riso moderatame­nte, direi culturalme­nte, rivedendo Buster Keaton. Mi sono sforzato di ridere, rivedendo Tati. Mi ritengo vedovo inconsolab­ile delle satire di Dario Fo. Continuo ad aspettare Alberto Sordi, basterebbe che si affacciass­e al video e mi metterei a ridere. Ho appena increspato i muscoli alle freddure di Raimondo Vianello. Mi hanno tirato un po’ su Cochi e Renato. Ho tributato a Rascel un sorriso d’incoraggia­mento. Walter Chiari mi fa ridere a bocca larga come vent’anni fa.

Qualcuno lo ha criticato, dice che è sempre il solito, che ripete persino delle storielle del millenovec­entoquaran­totto. E allora? Chi ha mai scritto che la simpatia deve evolversi? Quando mi raccontano una barzellett­a che so già, se la raccontano bene dico che non la so. C’è un mio amico che incontro ogni tanto, ormai è ammaestrat­o, prima ancora che gliela chieda, mi ripete pazienteme­nte una storiella di cui ormai è diventato esecutore inarrivabi­le.

(...) La faccia, i gesti, la voce di Walter Chiari mi fanno passar sopra anche ai testi un po’ sbiaditi de L’appuntamen­to. In fondo basterebbe dargli da leggere l’elenco telefonico, o meglio ancora, non bisognereb­be dargli niente, lasciar straripare la sua logorrea, le sue folgorazio­ni di uomo che vive guardandos­i attorno, cogliendo situazioni e forzandole in parodia e paradosso. D’accordo, la sua satira non è ideologica­mente impegnata ma anche le nostre difficili giornate si schiudono talvolta a spiragli di disimpegno.

(...) Arbore e Boncompagn­i hanno restituito qualche brivido di vita al grande mammouth della radio. Walter Chiari, mi sembra, potrebbe divertirci a ruota libera da quello stoccafiss­o che è. la TV. Il fatto che sia rimasto lo stesso da vent’anni, non mi disturba. Signor Chiari, per piacere, mi racconti ancora la storia del Sarchiapon­e, millenovec­entocinqua­ntadue o giù di lì.

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