NELLE TERRE DI CONFINE L’IDENTITÀ È SINTESI SONO SUDTIROLESE ANCH’IO
Cara Lilli, Jannik Sinner è «uno di noi», come vuole un vecchio coro sportivo. Un atleta di cui dobbiamo, come italiani, essere tutti particolarmente fieri per come affronta ogni incontro, non dandosi mai per vinto. Mi ha colpito la sua freddezza e determinazione, incredibile il suo innato equilibrio; come lui ne nascono davvero molto pochi e dobbiamo tenercelo ben stretto.
Nicola Campoli campoli@unindustrai.na.it
Caro Nicola su credo che Jannik Sinner sia un campione straordinario, e credo che sia campione anche di un’altra italianità, molto diversa da quella che adesso lo investe in qualità di «vincitore» di tutti con goffi tentativi di renderlo una bandiera politica. Certo che è uno di noi, ma forse è il caso di chiedersi chi siano quei «noi». Sono stata tutt’altro che sorpresa da come ha titolato Libero, il giorno dopo aver strappato il primo slam australiano nella storia del tennis tricolore: «Sinner d’Italia, L’uomo forte».
In quattro parole il quotidiano più sfegatato tifoso di Giorgia Meloni, trasforma Fratelli d’Italia in Sinner d’Italia (ma di quale Italia parliamo, quella della Presidente del Consiglio, neo-nazionalista e sovranista? Quella del 26% preso alle politiche sul 63% degli italiani che sono andati alle urne?). E chi è l’uomo forte a cui si allude? Lascerei a questi sgraziati auspici di primato, a queste gare di salita sul carro del vincitore il tempo che trovano. Sono sudtirolese come il giovane tennista, e la sua tempra è molto riconoscibile: fatta di altitudini, montagne e fatica, la fatica delle rigide temperature altoatesine, della rarefazione di quell’aria purissima che rende ogni movimento più faticoso. E a chi accusa Jannik di freddezza, rispondo che non è algido, tutt’altro, ma che quel contenimento è il risultato del rigoroso e disciplinato esercizio quotidiano.
Cosa che penso scongiurerà l’ipotesi che questa vittoria sia un exploit, ma che sarà invece la prima di molte future. Altri talentuosi sportivi (e non), quelli sì italici fino in fondo, al primo successo corrono sotto ogni riflettore – quelli che Giovanni Arduino e Loredana Lipperini chiamavano “morti di fama” in un saggio di qualche anno fa –e si bruciano subito nel calore sdilinquente della ribalta. Sinner no, Sinner ritorna in campo il giorno dopo e lascia il trofeo a casa e non lo lucida per il salotto delle vanità. In questo temperamento, che porta in sé un certo antidivismo caratteriale, sta l’atipicità dell’essere italiano di Jannik Sinner.
Ma non solo: chi viene da una terra di confine come il Sudtirolo cresce con due lingue e due culture, che possono poi moltiplicarsi perchè la propria identità diventa una sintesi dei valori universali, che sa riconoscere solo chi ha una mente aperta: sull’Europa e sul mondo, senza rinnegare le proprie radici. Quindi tutti quelli che ora vogliono mettere il cappello sul giovane atleta, sappiano che lo mettono su un cittadino del mondo, su quanto di più lontano ci possa essere dagli anacronistici slogan alla «prima gli italiani» e alla retorica del primato della Nazione.
CERCARE IN SINNER «L’UOMO FORTE» È UNA FATICA INUTILE COME LO È ORMAI LA RETORICA DEL PRIMATO DELLA NAZIONE