LA GENETISTA E IL CORAGGIO DI SPERIMENTARE IL RISO CHE NON SI AMMALA
Dopo il furioso dibattito sugli Ogm, da vent’anni in Italia nessuno aveva più osato chiedere l’autorizzazione per seminare in campo aperto piante con il DNA ritoccato. Il salto nel futuro lo ha fatto Vittoria Brambilla, dell’Università di Milano: il suo p
DOMANDE & RISPOSTE Anna Meldolesi e Chiara Lalli scrivono di argomenti fra filosofia morale e scienza, tra diritti e ricerca. Due punti di vista diversi per disciplina, ma affini per metodo
Chi si ferma è perduto, perché alla fine è tutta una questione di evoluzione. Mutando, gli organismi possono riuscire a sopravvivere alle condizioni avverse. Cambiando approccio, la comunità scientifica può superare gli ostacoli tecnici. E quando nuovi problemi (i cambiamenti climatici, ad esempio) scalano la lista delle priorità, l’agenda politica può aggiornarsi di conseguenza (questo è il senso del comma favorevole alla ricerca scientifica approvato nel decreto siccità lo scorso giugno).
Di fronte a questo panorama in evoluzione non è rimasta certo ferma Vittoria Brambilla, la genetista vegetale dell’Università di Milano che ha il merito di aver piantato una prima simbolica bandierina nel suolo lunare della burocrazia italiana in materia di sperimentazioni in campo con piante dal DNA ritoccato.
Per ora si tratta soltanto di una notifica comparsa nell’apposito database del Ministero dell’ambiente il 22 gennaio e in attesa di approvazione. Ma se tutto andrà bene ad aprile la ricercatrice milanese pianterà anche il suo riso resistente a una malattia chiamata brusone in ventotto control
LA PIANTA CHE RESISTE AL BRUSONE NON È CATALOGABILE COME PRODOTTO TRANSGENICO, PERCHÉ NON CONTIENE DNA EXTRA
L’agricoltura è una delle cose più innaturali che ci siano. Eppure, specialmente per chi in campagna non c’è mai stato (intendo a lavorare, non a fare un picnic), è un mondo bucolico e intoccato e idilliaco. E, soprattutto, naturale. Questo meraviglioso inganno del naturale investe molte altre cose e ha sempre gli stessi difetti: non solo è difficile definire cosa è naturale ma è illegittimo inferire che se è naturale, allora è buono e giusto.
Oltre all’agricoltura, la medicina è innaturale e le malattie naturalissime. Ma ricorderete tutti le crisi isteriche rispetto agli OGM, le campagne dissennate di terrore e l’avversione alla sperimentazione. Alleate di questa finta garanzia di bontà e genuinità sono il richiamo alla tradizione (non basta dire «abbiamo sempre fatto così» per concludere che è bene fare così e che quello che facciamo non sia migliorabile) e la sbagliata percezione del rischio (non è che fa più male il burro del riso Crispr?).
Ma per capire se una pianta o un’azione sono accettabili o no (sperimentabili e moralmente ammissibili) le domande che dobbiamo farci sono al
latissimi metri quadrati di zolle nel Pavese. Non sarà il piccolo-passo-per-un-uomo-grande-passo-per-l’umanità di Neil Armstrong, l’astronauta che ha poggiato i piedi sulla Luna nel 1969. Ma questo atto formale è una prima volta da festeggiare, perché da vent’anni nessuno provava a chiedere un’autorizzazione del genere in Italia. Ed è bello che a fare da apripista sia una scienziata, donna come le inventrici della tecnica utilizzata (Crispr), abbastanza giovane e ottimista da credere che il futuro sarà diverso dal passato.
Se la prova all’aperto dovesse dare buoni risultati, come quelli già ottenuti in laboratorio, il riso dell’Università di Milano potrebbe essere coltivato senza timore che un’infezione fungina lo distrugga e senza spargere fungicidi inquinanti. Non sarebbe catalogabile come un prodotto transgenico, perché non contiene DNA extra. Per bloccare il brusone, infatti, basta cancellare qualche lettera del DNA. In gergo si chiamano delezioni e si tratta di fenomeni che accadono spesso in modo spontaneo. La natura, si sa, è la più grande inventrice, ed è stata una fonte di ispirazione anche per le cosiddette “Tecniche di evoluzione assistita” (le Tea di cui Crispr fa parte). Sapere che nelle piante così sviluppate non ci sono geni estranei dovrebbe rasserenare chi, due o tre decenni fa, si preoccupava per i vecchi Ogm. Il saltello nel futuro di Brambilla (e di chi ne seguirà l’esempio) lascia sperare che nel 2024 biotecnologie ed ecologia possano essere finalmente alleate. Scherzando, potremmo metterla così. Dimmi quanti anni hai senza dirmi quanti anni hai: ti piace l’idea di un riso della tradizione italiana coltivabile senza fungicidi? tre e riguardano ovviamente la sicurezza, i possibili danni e in benefici. E poi è necessario sperimentare.
«La notifica è svolta epocale, l’ultima risale al 2004 e negli ultimi 20 anni nessuno scienziato ha pensato di provarci. Se tutte le richieste di autorizzazione vengono bocciate, smetti di credere che gli OGM possano essere cresciuti in campo», mi dice Vittoria Brambilla. «Oggi abbiamo una tecnologia diversa, delle piante con una delezione genetica e senza DNA estraneo».
Speriamo che basti per cambiare atteggiamento e normative. «È importante sperimentare. Se non sperimentiamo in campo aperto non possiamo sapere se sono veramente utili o no. E dal punto di vista scientifico gli esperimenti fatti all’aperto valgono di più rispetto a quelli fatti in laboratorio. Poi bisognerà sperimentare su più campi, ma intanto cominciamo a vedere se riusciamo a uscire dal laboratorio».
Sembra esserci anche un’apertura da parte delle associazioni di categoria, anche quelle storicamente contrarie alle innovazioni agroalimentari. In tutti questi anni le paure per la sicurezza sono state smentite in tutti i modi e ormai sappiamo bene che non ci sono rischi tali da giustificare i divieti. Brambilla ha una esperienza abbastanza rassicurante rispetto a questo. «Quando parlo con le persone mi sembrano interessate e curiose e non spaventate». Speriamo che la sperimentazione sia approvata e che non ci siano intoppi e pretesti per ritardare. Perché la possibilità di sperimentare in campo non è importante solo per questo specifico caso, ma è un caso esemplare. E «forse darà anche fiducia ai giovani scienziati che si sentono inascoltati».
LA POSSIBILITÀ DI USCIRE DAL LABORATORIO NON È IMPORTANTE SOLO PER QUESTO SPECIFICO CASO. «DARÀ FIDUCIA AI GIOVANI SCIENZIATI»