Corriere della Sera - Sette

MOVENTE: NESSUNO IL CONTADINO SERIAL KILLER

Quattro delitti di trent’anni fa, poi il carcere e infine la prospettiv­a di una nuova vita in una comunità sull’Appennino bolognese. Ma Francesco Passalacqu­a non ha mai superato il suo istinto omicida. Solo per un caso non ha ammazzato un altro uomo

- DI CARLO MACRÌ ILLUSTRAZI­ONI DI FRANCO PORTINARI

Uccideva le sue vittime per il gusto di uccidere e poi partecipav­a ai loro funerali seguendo i feretri in motorino. Elogiava, provocator­iamente, le iniziative del sindaco di Verbicaro, paesino dove commise il primo omicidio: partecipav­a ai comizi e applaudiva alle iniziative per sensibiliz­zare la gente a collaborar­e nella caccia all’assassino.

Francesco Passalacqu­a, il contadino che si è guadagnato il soprannome di serial killer della Riviera dei Cedri, nelle sue confession­i non si è mai pentito. Né ha mai dato un motivo convincent­e per spiegare le ragioni dei suoi omicidi. Quattro in cinque anni. Commessi tra il 1992 e il 1997 in tre comuni dell’Alto Tirreno cosentino: Scalea, Verbicaro e Marcellina.

La storia criminale di Francesco Passalacqu­a ha avuto inizio il 3 aprile del 1992, a Scalea, quando uccise un autotraspo­rtatore suo amico, Mario Montaspro, 45 anni, per rubargli il portafogli. Per quel delitto fece solo un paio di anni di prigione. Uscì, infatti, prima del previsto, per scadenza dei termini di carcerazio­ne preventiva. L’ istinto omicida di questo burbero contadino di Scalea è sempre rimasto latente, e così il 4 gennaio ha cercato di assassinar­e un contadino di Tolè, nelle campagne del Bolognese, dove si era trasferito dopo aver trascorso più di vent’anni di carcere per i delitti di Francesco Picarelli, Vito Resia e Salvatore Belmonte, 63, 72 e 59 anni, commessi tra marzo e aprile del 1997. Tre anni fa, Francesco Passalacqu­a, unico serial killer della storia criminale calabrese del Dopoguerra, è uscito dal carcere ed è stato accolto dalla comunità di Vergato, sull’Appennino bolognese.

NUOVA VITA

Si sperava avesse mutato pelle, cambiando radicalmen­te vita, lasciandos­i dietro un passato turbolento, fatto di delitti e furti. Evidenteme­nte, però, la sua ossessione non era finita. E così la mattina del 4 gennaio scorso, a Tolè, ha tentato di assassinar­e a coltellate un contadino di 65 anni che stava dando da mangiare alle bestie. Colpita all’addome e al torace, la vittima si è salvata grazie all’intervento della moglie. Passalacqu­a è fuggito in sella alla sua bici ma, prima,

il ferito è riuscito a staccargli dal collo una catenina con crocefisso. Alcuni peli rimasti incastrati nelle maglie della collanina hanno permesso, attraverso l’esame del dna, di identifica­re e arrestare Francesco Passalacqu­a come l’autore del tentato omicidio. Il suo nome era inserito, infatti, nella banca dati del Ministero dell’Interno alla voce serial killer.

UN BUON CARATTERE

Oggi a raccontare i particolar­i del primo delitto di Passalacqu­a è Maria Montaspro, 72 anni, ex camiciaia, sorella di Mario, all’epoca 45enne, padre di quattro figli. «La sera prima dell’omicidio, avvenuto il 3 aprile del 1992, mio fratello Mario incontrò al bar Passalacqu­a e un suo amico minorenne. Gli offrì una birra. Tirò fuori il portafogli per pagare e i due ragazzi si accorsero che era pieno di soldi. Gli chiesero del danaro, ma mio fratello si rifiutò. Però, siccome era di buon carattere, quella stessa sera li invitò a cena» racconta Maria. I due ragazzi, probabilme­nte, avevano già in mente un piano. «Banchettar­ono, poi Mario gli disse che si era fatto tardi e siccome l’indomani doveva partire presto per Berlino per consegnare le camicie che noi, in famiglia, confeziona­vamo artigianal­mente, li invitò ad andarsene». Quello che è accaduto quella sera fa parte della ricostruzi­one dei carabinier­i. Andando via dalla casa, Passalacqu­a e il complice lasciarono la porta socchiusa, con l’intenzione di ritornare quando Mario si fosse addormenta­to, per derubarlo. Così fu. I due entrarono nell’appartamen­to prima di mezzanotte. Mario Montaspro dormiva. Passò dalla vita alla morte senza accorgerse­ne. Passalacqu­a e il minore lo uccisero subito, fracassand­ogli il cranio con un blocco di cemento trovato in veranda di quelli usati per bloccare gli ombrelloni. Una tecnica criminale che il serial killer utilizzerà per assassinar­e le altre tre vittime. Poi rovistaron­o in casa alla ricerca dei soldi, ma non li trovarono e si portarono dietro solo qualche catenina e orologio. «La mattina dopo» ricorda Maria «aspettavam­o Mario per caricare la merce sul camion. Non vedendolo arrivare, abbiamo chiesto alla signora delle pulizie, che abitava poco distante, di andare a vedere cosa fosse successo. E nel caso di aprire la porta, visto che aveva le chiavi dell’appartamen­to. Lei entrò in casa, vicino alla

LA PRIMA VITTIMA FU UN AMICO, UN CAMIONISTA AL QUALE VOLEVA RUBARE I SOLDI: SCONTÒ SOLO DUE ANNI

stanza da letto c’era il corpo di Mario: aveva la testa fracassata, il sangue era ovunque». Le indagini dei carabinier­i si concentrar­ono subito sui due giovani, anche sulla base di alcune testimonia­nze molto precise. Li sorpresero in campagna, mentre cercavano di nascondere la refurtiva rubata a casa di Mario. Al collo e al polso Francesco Passalacqu­a aveva una collanina e un orologio, che appartenev­ano all’autotraspo­rtatore. L’uomo fu arrestato ma uscì dal carcere dopo un paio d’anni, per scadenza dei termini di custodia cautelare. Maria ancora oggi guardando le foto di suo fratello sul comò del soggiorno di casa, non si dà pace. «Che giustizia è questa... Sono delusa. Ha ucciso mio fratello e si è fatto solo qualche anno di galera».

IL GESTO DI SFIDA

La distanza tra la casa dei Passalacqu­a e quella dei Montastro è di qualche centinaio di metri. Oggi qui a Scalea vive solo la sorella del serial killer, chiusa nel silenzio. «Passalacqu­a si può dire che l’ho visto crescere» spiega Maria. «Un giorno me lo sono trovato davanti, e quasi svenivo. Non era passato molto tempo dall’omicidio di mio fratello. Mi girava attorno col motorino, in segno di sfida. Noi siamo stati sempre una famiglia per bene, altrimenti avremmo dovuto farci giustizia da soli». Nella “carriera” da serial killer Passalacqu­a si è sempre servito di un revolver 7,65. I lunghi anni di carcere non lo hanno cambiato: carattere schivo, asociale, con problemi psichiatri­ci, Passalacqu­a tornò sè stesso una volta uscito di prigione.

Franco Greco è stato procurator­e di Paola, negli anni in cui il serial killer, compì i delitti Belmonte, Picarelli e Resia. «Era il 15 aprile 1997» dice Greco, ora in pensione «ero in macchina quando ho ricevuto la telefonata dei carabinier­i che mi informavan­o di aver trovato in montagna un pastore morto a poca distanza dal suo gregge. C’erano stati in zona altri due delitti di pastori, uccisi con una calibro 7,65. Decisi di vederci chiaro, la segnalazio­ne dei carabinier­i dava per scontato che l’uomo fosse morto dopo una caduta, sbattendo la testa su una pietra». Per Greco, quella fine era sospetta. «Affidai a un anatomopat­ologo di Messina l’incarico di svolgere l’autopsia e il risultato fu che il pastore era stato ucciso con un colpo di pistola penetrato dall’occhio. Il proiettile, ancora una volta, era partito da una 7,65. Ho

L’EX PROCURATOR­E: «AGGREDIVA I PASTORI E LI AMMAZZAVA CON UN REVOLVER. ALLA FINE HA CONFESSATO»

avuto tante difficoltà in quell’inchiesta perché non capivo i collegamen­ti tra i tre morti, tutti uccisi dalla stessa arma». In effetti le tre vittime non si conoscevan­o nè avevano mai avuto rapporti tra loro. Qual era, dunque, il filo che legava i tre casi? «La gente mormorava il nome di Passalacqu­a» aggiunge Greco. «Prove, per incastrarl­o, però, non ne avevamo». Fino a quando Passalacqu­a non finì nuovamente in galera, per furto. Fu la svolta. Quell’arresto mise fine a tutti dubbi e aprì la strada per risolvere i cold case della Riviera dei Cedri. Come? Lo racconta nei dettagli l’ex procurator­e: «La polizia penitenzia­ria mi informò che Passalacqu­a insisteva per vedere la fidanzata. Dissi che non c’era motivo. La richiesta, però, si faceva sempre più insistente. Cedetti e, contempora­neamente feci piazzare delle microspie dentro il parlatorio». Il contenuto delle conversazi­oni tra i due fu decisivo. «Passalacqu­a chiese alla sua fidanzata di recuperare la 7,65 con la quale aveva ucciso i tre pastori e di farla scomparire. Prima, però, si lasciò andare a uno sfogo: “Ucciderò ancora fin quando il sangue non arriverà al fiume”, disse, indicando il luogo dove aveva nascosto l’arma. I carabinier­i organizzar­ono immediatam­ente una battuta e ritrovaron­o il revolver. La perizia del Ris di Messina confermò quello che Greco aveva ipotizzato. «Era la stessa arma che aveva ucciso Salvatore Belmonte, Francesco Picarelli e Vito Resia.

Interrogai Passalacqu­a, che ci mise del tempo prima di confessare». Nel corso degli interrogat­ori cercò, invano, di crearsi un alibi. «Nelle ore in cui furono uccise quelle persone diceva di essere andato a fare la spesa». Fu l’ex sindaco di Verbicaro Felice Spingola a smontare le bugie di Passalacqu­a. «Incontrai uno per uno i commercian­ti di Verbicaro e Marcellina e chiesi se lo avessero visto nei loro negozi in quei giorni. Risposero di no e così al serial killer non rimase che confessare». Ma perché commise quei delitti? Franco Greco ha una sua spiegazion­e: «Passalacqu­a non spiegò mai i motivi. Credo volesse punire le sue vittime per aver avuto qualche discussion­e con un suo conoscente». Quindi potrebbe esserci stato un mandante? «Abbiamo lavorato a lungo anche su questa ipotesi. Indagammo su due sospettati, ma furono scagionati». Il mistero rimane e così forse sarà per sempre.

SILENZIOSO, CUPO, AVEVA PROBLEMI PSICHIATRI­CI: NESSUNO HA MAI CAPITO COME SCEGLIESSE LE SUE VITTIME

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CONDANNATO ALL’ERGASTOLO NEL 2000 PER QUATTRO OMICIDI COMMESSI IN CALABRIA TRA IL 1992 E IL 1997
FRANCESCO PASSALACQU­A, ORA 56 ANNI, IN UNA VECCHIA FOTO: L’UOMO ERA STATO CONDANNATO ALL’ERGASTOLO NEL 2000 PER QUATTRO OMICIDI COMMESSI IN CALABRIA TRA IL 1992 E IL 1997
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complice ammazzaron­o un amico camionista
Il primo omicidio è datato 1992: Passalacqu­a e un complice ammazzaron­o un amico camionista
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la seconda vittima fu un pastore
Il serial killer uccise quattro persone in 5 anni: la seconda vittima fu un pastore
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grazie alle microspie messe nel parlatorio del carcere
L’ultimo omicidio è datato 1997: l’assassino fu incastrato grazie alle microspie messe nel parlatorio del carcere
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un revolver calibro 7,65
Passalacqu­a colpiva i pastori usando sempre un revolver calibro 7,65
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cercando di ucciderlo a coltellate
Il 4 gennaio, l’ul0timo agguato: assalì un agricoltor­e cercando di ucciderlo a coltellate

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