MARGHERITA GUIDACCI E LO SCOGLIO DI MOGOL
Disbrighiamo un po’ di posta. Avete indovinato tutti l’autore della prefazione a Non a te nudo amore (Crocetti) in cui si dice che «scrivere d’amore è come fare l’amore». Non era Benigni, né Alberoni, bensì Massimo Recalcati. «Anche se mi sembrava una dissertazione dal Convivio di Platone» scrive Patrizia De Matteis, che ha risposto per prima. In tanti, poi, condividete il disagio per la retorica del poetico professore del film L’attimo fuggente. «Chi insegna ha sofferto questa bella iniezione di demagogia in un mestiere già di suo non facile», scrive Gianmarco Gaspari, docente di Letteratura italiana all’Università degli studi dell’Insubria, che ha insegnato anche alle superiori.
Giustamente mi avete redarguito su Thomas Dylan, che ho scritto male. In gallese, ci ricorda Roberto Salafia, «Dylan significa “son of the sea” o “born from the ocean”. Nel Galles Dylan è comune sia come nome che come cognome ma in questo caso Dylan è il nome, a differenza di Bob Dylan dove ovviamente Bob è il nome e Dylan il cognome». Rimedio con quattro versi di Giorgio Caproni: «Errata/ Non sai mai dove sei. / Corrige / Non sei mai dove sai». Un’altra lettrice, Giuseppina Spagolla ci invita a rileggere Margherita Guidacci, «figura del Novecento poetico italiano poco conosciuta». Il testo qui sotto è tratto da Il vuoto e le forme del 1977. Declina in più immagini il limite interno all’infinito (diversamente dalla siepe di Leopardi). Come lo scoglio di Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi, brano del 1972, di Battisti-Mogol. Scoglio che può, se può, arginare il mare.
Il tuo ricordo, sul fondo della mia solitudine, ne rivela l’ampiezza e tuttavia la limita.
Così un canto d’uccello addolcisce l’immensità del cielo e una singola vela rende umano il mare.