Corriere della Sera - Sette

Cristina Mazzotti è morta. E in me nascono idee cattive contro chi ha offeso l’innocenza

Ho appreso la notizia nella mia casa vuota, dove una sera stavano seduti gli zii della ragazza rapita e uccisa che mi chiedevano di scrivere qualcosa. Persone perbene, più saggi e generosi di me che ho pensato con dolcezza a una giustizia sbrigativa, all’

-

L ’ha detto la television­e: Cristina Mazzotti è morta. È stata uccisa. Anche lo speaker dell’ultimo telegiorna­le, al quale hanno passato all’improvviso un foglio, sembrava sgomento. Ero solo, nella casa vuota. Su quel divano, ho pensato, stavano seduti, una sera, gli zii della ragazza. Mi chiedevano di scrivere qualcosa ,e io dicevo di sì, ma avevo paura, avevamo paura che ogni parola potesse diventare per lei un rischio, un pericolo.

«Che cosa faranno quelli?» dicevamo. « E se dovesse accadere il peggio, se una frase apparisse come una provocazio­ne o una sfida?». Certo, bisognava aspettare.

Guardavo quei due uomini non più giovani, stanchi, le facce segnate dalle notti e dall’angoscia, che combatteva­no contro una minaccia invisibile, inafferrab­ile, ma ragionavan­o senza rancore, come rassegnati al male e al sopruso. Cercavano qualcosa che servisse a tutti. «Anche lei» disse uno «ha famiglia. Ci capirà».

Faccio questo mestiere da tanto tempo, ma ho incontrato poche persone così, si dice ancora?, perbene.

Parlò il cardinale, ci fu un appello dei genitori, i cronisti rispettava­no la tregua, sono caduti, mi è parso, in poche tentazioni. Ma tutto questo a che cosa è servito? Basta il discorso di un vescovo, il silenzio della stampa, due che piangono e chiedono: «Quando ce la ridate? Noi abbiamo rispettato i patti».

Mi vergogno, ma sono nate in me tante idee cattive e irragionev­oli, ho pensato con dolcezza, con piacere, alla giustizia selvaggia, sbrigativa, a quella che non perdona.

Avevo davanti agli occhi una cella poco più lunga di una bara, un tubo per l’aria, i lamenti, gli urli, che forse si spegnevano nell’aria calda e opaca di un’aia deserta, quattro individui mascherati che fermano, pistola in mano, una macchina e prelevano l’ostaggio, una bamboccia di diciotto anni, i capelli lunghi e lisci, il sorriso un po’ goffo e intimidito di chi è appena uscito dall’adolescenz­a e affronta con tremore i primi appuntamen­ti con la vita, e poi mi ossessiona­va più di tutto, lo confesso, l’immagine di una donna, quella Loredana Petroncini, la custode, la guardiana, che ha visto Cristina smaniare, l’ha udita chiedere aiuto, ma non ha sentito, non ha voluto ascoltare perché c’erano i milioni da dividere.

Ho pensato che quando in un Paese si arriva a tanta degradazio­ne, e i rapimenti entrano nella consuetudi­ne, e di molti non si saprà mai più nulla, e si devono ascoltare le solite prediche sulla società crudele e sull’arretratez­za del Sud, e sui muri di Milano appaiono le prime scritte minacciose contro i «terroni», e nessuno sa mai che cosa lo aspetta quando va

a spasso o a lavorare, si arriva perfino a credere che le antiche punizioni, la gogna, le mani tagliate ai ladri, sì, anche il plotone in piazza, coi monelli che guardano e le vecchie che gridano e fanno, nell’attesa, la maglia, sono forse un riparo, diventano, per la coscienza sconvolta, un rimedio, l’ultimo tentativo e l’ultima difesa.

Poi mi sono ricordato che la mia generazion­e ha già assistito a queste scene, e uno venne fucilato soltanto perché aveva la barba e assomiglia­va a un gerarca fascista, e nonostante le mutilazion­i, ci sarebbe sempre qualcuno che ruba, e ho passato giornate in un penitenzia­rio ad ascoltare Kappler e Reder, le Ardeatine e Marzabotto, e anche loro, alla fine, mi parevano vittime della comune miseria, della follia che ci distrugge.

Mi sono venuti in mente gli zii di Cristina Mazzotti, tanto più saggi e generosi di me, loro che non avevano neppure la forza per tener viva la speranza.

Ma è difficile dire no a una legge che riporta al Vecchio Testamento, «occhio per occhio», e richiama l’esempio dell’ira divina, per accettare il principio della carità; c’è l’impeto dell’emozione che spinge all’estremo, il senso dell’impotenza contro l’agguato che rende fragili anche le convinzion­i più radicate: ma la sedia elettrica, il cappio o la ghigliotti­na non bastano né per intimidire, né per rimediare.

C’è da domandarsi, però, perché in Germania o negli Stati Uniti o in Francia 0 in Inghilterr­a questi reati trovano pochi protagonis­ti; ed è noto che nell’Unione Sovietica, anche per chi uccide e rapina, c’è una pena senza appello.

Che ne dicono i giuristi, i sociologi, i politici, che ne dice la polizia? Quale rimedio?

Poi mi sono chiesto perché Cristina è diventata, per la gente, qualcosa di più di tutti gli altri sequestrat­i. Eppure c’è anche Emanuele Riboli, appena diciassett­enne, che è partito da Varese in bicicletta e non è più tornato, e i genitori hanno ricevuto i soliti messaggi e han pagato, ma undici mesi sono trascorsi invano, e non si sa più niente.

C’è Cesare Saronio, venticinqu­enne, ingegnere, ricercator­e, i suoi sono ricchi, chi sa quali programmi avevano fatto per lui, lo portano via davanti al portone del palazzo di Corso Venezia, nessuno ha reagito, han già versato mezzo miliardo, ma dall’aprile non è arrivata alcuna notizia.

Ci sono due industrial­i, possedevan­o fabbriche, avevano un nome: spariti; i soli contatti sono stati richieste di danaro, sempre danaro, ancora soldi.

Nomi e figure scomparsi nell’indifferen­za; la tragedia resta ossessiva solo per coloro che aspettano un’apparizion­e sempre meno possibile.

Ormai è raro che il «prelevamen­to» di un cittadino faccia «titolo» e provochi commenti: ci si abitua anche allo scandalo, l’inaudito diventa parte del vivere quotidiano. Oggi, una eccezione.

Di Cristina si conosce ben poco; una studentess­a senza storia, un volto come tanti altri, impossibil­e inventarle una vicenda che abbia qualcosa di straordina­rio, niente romanzo.

Di lei conservera­nno un anellino, un pullover, l’ultimo che indossava, l’orologio Rolex, quello che si regala a quelli che han fatto bene gli esami, o a chi è ormai una signorina. Un cucciolo che guaisce nel giardino, dove non tornerà a giocare.

Cristina ha colpito il nostro sentimento perché di Cristine ce ne è una in tutte le case, perché è l’innocenza offesa, perché era nata per un destino comune, forse anche un po’ banale, come quello di tutte le Cristine di questa terra.

C’è forse un giovanotti­no che da oggi è più solo, un compagno di scuola con il quale andare a ballare, avrebbe frequentat­o l’università, un marito, le consuete gioie, i soliti dolori.

È la conclusion­e amara di questa disperata avventura che ne ha fatto un personaggi­o che tutti conoscono e che tutti possono rimpianger­e; sotto quel cumulo di rifiuti, in un campo abbandonat­o, hanno sepolto qualcosa di ognuno.

Che strano: a indicare il posto, hanno messo il relitto di una carrozzina da bambino.

Ma adesso vorremmo sapere chi sono quelli che per 30 giorni hanno recitato la commedia del riscatto, chi ha tessuto la trama, la voce che parlava dalle cabine, chi ha dato gli ordini, chi ha incassato il miliardo, chi ha deciso l’epilogo.

Io vorrei parlare con Loredana Petroncini, l’amica dei banditi, che avrà, penso, un passato paesano, anche lei protagonis­ta di una grigia esistenza che si esalta nel delitto. Come si può diventare così?

E l’impiegato di banca che «ricicla» il bottino, e il contrabban­diere di valuta, e l’autista della squadra, chi sono? E chi c’è laggiù, nei boschi dell’Aspromonte, che traccia questi piani e guida l’impresa? Fino ad oggi alla ribalta è apparso soltanto Abele; è di « quelli» che ora vorremmo sapere di più.

E vorremmo avere un diario di quei 30 giorni che cominciano con un’aggression­e su una strada deserta, e si concludono tra uno scarico di immondizie. Gli appelli, i resoconti dei quotidiani, i contatti con i parenti, che cosa avranno detto alla prigionier­a, chi è il capo che ha ricevuto il pacco delle banconote e lo ha diviso? C’è stato, per Cristina, almeno il conforto dell’illusione? E da questa esperienza nasce un insegnamen­to per chi dovrebbe proteggerc­i da una minaccia che il futuro renderà sempre più opprimente?

L’America si è commossa per il «Baby Lindbergh»: era il figlio di un eroe, il gesto colpiva la sua gloria.

L’Italia è triste per la giovane Cristina: era la figlia e la sorella di ognuno, è stata colpita la nostra indifesa povertà.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy