Corriere della Sera - Sette

L’AMMONIMENT­O A SCAVARE DELLA “TALPA” NIETZSCHE PER POI FARE LE COSE BENE

- DI MAURO BONAZZI

Inizialmen­te Nietzsche non s’interessò di filosofia: si dedicò allo studio del mondo greco, alla filologia. Divenne professore a soli 25 anni, senza neppure un dottorato. Anche se non aveva ancora pubblicato molto, la convinzion­e diffusa era che presto avrebbe dato prova del suo indubbio talento. Il suo primo libro fu La nascita della tragedia (1872), dedicato alla tragedia greca. Scatenò reazioni violentiss­ime tra gli studiosi, che lo accusarono di ignoranza e incompeten­za. Chi lavora in questo modo è morto per la disciplina, pare che avesse sentenziat­o Hermann Usener, uno dei più autorevoli filologi del tempo. Nietzsche smise progressiv­amente di tenere lezioni. Nel 1879 si licenziò definitiva­mente dall’università di Basilea.

Al tempo della polemica Nietzsche aveva risposto per le rime, accusando i filologi di inseguire un sapere arido e inutile. I filologi, gli studiosi, sono come talpe, scriveva, che rovesciano per la millesima volta lo stesso sasso, ingoiando polvere su polvere. Che bisogno c’è di studiare sempre le stesse cose? Non sono parole molto diverse da quelle che si levano oggi contro gli studi umanistici più in generale. Che bisogno ne abbiamo? Una risposta sarebbe arrivata qualche anno dopo, nel 1881, quando Nietzsche ha ormai trovato la sua misura, e sta sviluppand­o le sue tesi più famose. Se tutto questo è stato possibile, scrive in Aurora (in Italia è tradotto per Adelphi), è perché ha saputo andare sottoterra, ha saputo andare dietro alle false certezze, imparando a vedere. «In questo libro», scrive, «troviamo all’opera “un essere sotterrane­o”, uno che perfora, scava, scalza di sottoterra». Nietzsche insomma rivendica per sé il ruolo della talpa. Perché senza questo lavoro di scavo, di smantellam­ento di verità e idee che sembrano inconfutab­ili non si potrà capire mai niente di noi. Più che alle credenze bisogna guardare al perché delle credenze: perché crediamo nei valori in cui crediamo? Siamo sempre pronti a indignarci, ma quali sono i motivi profondi che ci spingono a sostenere un’idea piuttosto che l’altra? «Dove voi vedete cose ideali, io vedo cose umane, troppo umane».

Nietzsche iniziava così la sua lenta opera di critica dei principi su cui si fonda la nostra società, spingendo i suoi lettori a riflettere sui valori che devono fondare una vita autentica, senza limitarsi a seguire la corrente. Lo aveva fatto grazie ai metodi che aveva appreso da giovane, grazie alla filologia: «filologia», scrive in Aurora ,«è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutt­o una cosa, di trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte che non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento. Ma proprio per questo è oggi più necessaria che mai: è proprio per questo mezzo che ci attira e ci incanta nel cuore di un’epoca del “lavoro”, intendo dire della fretta, dell’imprecisio­ne indecorosa e sudaticcia, che vuole sbrigare immediatam­ente ogni cosa: per una tale arte non è tanto facile sbrigare una qualsiasi cosa, essa insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandos­i avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando porte aperte, con dita e occhi delicati…». Imparare a fare le cose bene, Nietzsche ha ragione: non c’è niente di più necessario.

PRIMA DELLA FILOSOFIA STUDIÒ FILOLOGIA E QUESTA LO AIUTÒ A FARSI «ESSERE SOTTERRANE­O CHE PERFORA E SCALZA DI SOTTERRA»

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Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900)

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