PRemIE rAtO
LO CONIÒ SARTORI NEL CORRIERE DIVENTERÀ PRIMIERATO?
Èuna parola tipica del neopolitichese. Ovvero una di quelle entrate nel dibattito politico solo con la riforma elettorale del 1993 e il conseguente ingresso in quella che è stata chiamata «seconda Repubblica». Di presidenzialismo e semipresidenzialismo si era già parlato a lungo prima: come ricordava nel 1997 la Breve storia del presidenzialismo in Italia (1946-1992) di Antonio Carioti, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica era stata un’idea variamente sostenuta dal Partito d’Azione, dal Msi di Almirante, da Bettino Craxi.
Di premierato, invece, si comincia a parlare solo dopo. Anche perché fino a quel momento premier era una definizione usata da noi solo in riferimento ad altri governi, a partire ovviamente da quello britannico. «Il primo Lord della Tesoreria, detto anche semplicemente premier, equivale al nostro presidente del consiglio», scriveva nel 1880 L’illustrazione italiana: ma all’epoca da noi c’erano ancora il re e lo Statuto Albertino. Sta di fatto che l’uso di premier per indicare il nostro primo ministro prende piede solo con la riforma maggioritaria che porta al governo l’alleanza guidata da Silvio Berlusconi. Le prime attestazioni si registrano nella primavera 1994, insieme a quelle dei derivati premiership e vicepremier: «Sì della Lega a Berlusconi premier»; «È ovvio che Bossi si riservi un giudizio sulla leadership di questo Paese»; «il jazzista Bobo Maroni vicepremier».
È in quel momento che si affaccia anche la parola premierato, per indicare un progetto di ulteriore riforma istituzionale. Le prime attestazioni si trovano nel Corriere e sono tutte riconducibili al politologo Giovanni Sartori. In un suo articolo del 17 settembre 1993, significativamente intitolato Ma io non credo al superpremier, si legge: «Trasferiamoci dal presidenzialismo al (diciamo) premierato». In un altro, del 12 aprile 1994: «Propongo che la proposta della elezione diretta del capo del governo venga riassunta nel termine “premierato”». E così è stato.
Il vocabolo (come il modello politico?) è dunque italiano, ma di derivazione straniera. Il suffisso viene da modelli autoctoni (ad esempio triumvirato), ma la base risale all’inglese (in cui premier si usa in questo senso dal 1686) e da lì al francese premier «primo». Lo stesso del femminile première, che i puristi ottocenteschi riconducevano – nel senso di «inaugurazione» – a primiera. Chissà che ora a qualcuno non venga in mente di ribattezzare il progetto con un italianissimo «primierato».
IL VOCABOLO È NOSTRO, LA BASE RISALE ALL’INGHILTERRA DOVE IL PREMIER C’È DAL 1686