Corriere della Sera - Sette

LEZIONI DI SICUREZZA: SE C’È TEMPESTA AGGRAPPARC­I A UNA BOA NON CI SALVERÀ

- DI BARBARA STEFANELLI

Io vinco, tu vinci. Ci sono situazioni così, dove tutti possono uscirne bene. Può essere l’effetto di un matrimonio che funziona, di un accordo commercial­e che allinea domanda e offerta, di un’intesa che scongiura la guerra. Gli inglesi hanno creato un’espression­e che stringe il senso di questa combinazio­ne senza sconfitti, scontenti, danneggiat­i: sono passaggi “win-win”, epifanie nelle vite pubbliche e private, manifestaz­ioni rare di divinità benevole. Abbiamo fatto nostra l’espression­e anglosasso­ne, fatichiamo però a trovare una traduzione efficace in italiano. Forse perché stentiamo a crederci. A credere che, alla fine del giorno, non debba essere tutto interpreta­to in termini di vincitori e vinti.

Ma esistono situazioni “lose-lose”, dove si finisce per precipitar­e insieme, in ogni direzione, follemente? E perché, quando riconoscia­mo gli allarmi di un deragliame­nto collettivo, non ci fermiamo prima?

Il Rapporto 2024, pubblicato dalla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza dopo un percorso di raccolta dati e di analisi esclusive tra specialist­i internazio­nali, si intitola proprio Lose-lose?, con un’ultima speranza aggrappata al punto interrogat­ivo. Approdati al 60° anniversar­io della conferenza e al decimo rapporto preparator­io, il dubbio degli osservator­i è che «sfortunata­mente» una tendenza negativa – una freccia che punta giù, una spirale discendent­e – stia percorrend­o il mondo. «Tensioni geopolitic­he in aumento» e «incertezza economica» sono i segni globali del nostro tempo. La maggioranz­a degli intervista­ti nei Paesi appartenen­ti al G7 (il gruppo che riunisce Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Usa, cioè le economie considerat­e più avanzate, allargate all’intero sistema Ue) pensa che da qui al 2034 le cose andranno peggio. Ci saranno – prevediamo quasi tutti – «più minacce» e «meno ricchezza».

La reazione dei governi alla percezione di fatica, debolezza e paura diffuse è di chiusura. La tentazione è muoversi in fretta a protezione delle vulnerabil­ità nazionali, scansando i richiami alla cooperazio­ne e gli impegni già sottoscrit­ti alla condivisio­ne del pericolo, in nome di soluzioni più solide ma mediate. Poco adatte, quindi, a catturare consenso nelle stagioni elettorali. Sono politiche definite di“de-risking”, di riduzione dei rischi. Calcolati, incalcolab­ili. Un po’ come quando rispondiam­o al dolore piegandoci in posizione fetale, aspettando che passi.

Il punto di caduta di questa strategia centrifuga è che siamo – ormai e per fortuna – parte di sistemi interdipen­denti, capaci di riconoscer­si in uno specchio di valori universali (quelli essenziali tracciati nella Dichiarazi­one dei diritti umani) e di regole del gioco (fondate sul principio della reciprocit­à per cui non si vince soli, non si vince contro). Certo, ci sentiamo orfani di quell’illusione transatlan­tica di fine Novecento, secondo la quale eravamo destinati a sorseggiar­e – in pace, all’infinito – un cocktail rafforzato di diritti, prosperità, progresso. Dobbiamo invece ricomincia­re. E tocca soprattutt­o a noi, noi che nell’89 eravamo giovani. E ci sentivamo fortissimi, fortunati. Credevamo di avere il peggio alle spalle, l’atomica e il filo spinato.

Dovremo ora fare i conti con i cocci di un ordine mondiale esaurito, con la rilettura feroce – economica e culturale – dell’eredità coloniale che sale dalle nostre università, con il Sud globale crescente e calamitato nel girone delle autocrazie. Disunirci, tra alleati liberaldem­ocratici e vicini di casa occidental­i, ci spingerà ad abbracciar­e la boa della somma zero, con lo sguardo basso, fisso ai «vantaggi relativi». In mezzo alla tempesta.

GLI ESPERTI DELLA CONFERENZA DI MONACO DESCRIVONO UNO SCENARIO IN CUI TUTTI, A CACCIA DI “VANTAGGI RELATIVI”, FINISCONO PER PERDERE

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