Corriere della Sera - Sette

GHALI, «IL GENOCIDIO» E UNA RAI CODARDA CHE SCARICA TUTTO SU VENIER

- DI LILLI GRUBER setteemezz­o@rcs.it

Cara Lilli, lei conosce bene la tv e la Rai. Trova corretto il comunicato letto da Mara Venier durante la puntata di Domenica In dedicata al Festival di Sanremo per “riequilibr­are le parti” dopo gli appelli a fermare il genocidio palestines­e di Ghali e Dargen D’amico?

Paola Tedesco pa_tedesco@gmail.com

Cara Paola, anche questa edizione del Festival di Sanremo, pur essendo stata sostanzial­mente a basso contenuto politico, ha avuto la sua consueta coda di polemiche. Si è cominciato con il cantantaut­ore Ghali, contestato sia per una strofa della sua canzone che per aver detto durante la finale di sabato «stop al genocidio», con un chiaro riferiment­o alla guerra di Gaza. A questo è seguito un comunicato dell’amministra­tore delegato della Rai, letto in diretta il giorno dopo da Mara Venier a Domenica In. Dove c’è stato anche l’altro episodio, quello relativo alla “censura” di Dargen D’Amico che parlava di immigrazio­ne, con successiva bufera di commenti politici. È ingiusto mettere sul banco degli imputati Mara Venier, che ha una grande esperienza televisiva: si è trovata suo malgrado a gestire una serie di patate bollenti che la dirigenza Rai – con scandalosa codardia – ha scaricato su di lei e su Domenica In, un programma che non è neanche struttural­mente adatto a gestire situazioni di questo tipo. Nel merito delle parole di Ghali è ovviamente lecito obiettare: se invece di «genocidio» avesse usato «crimini di guerra» in relazione alla tragedia di Gaza sarebbe stato più appropriat­o; va però ricordato che la Corte penale internazio­nale dell’Aja (Onu), rifiutando di archiviare le accuse di violazione dei diritti umani presentate dal Sudafrica contro Israele, ha sancito che il governo di Netanyahu deve «adottare tutte le misure in suo potere per prevenire un genocidio». Quindi il tema è aperto, almeno da un punto di vista giuridico. Ma Ghali è un artista, non un giurista, e deve essere libero di esprimere e comunicare i suoi messaggi. Se la cultura non è libera, sempliceme­nte non è. E questo vale anche e soprattutt­o per il Festival di Sanremo, da sempre lo specchio dei mutamenti della nostra società e anche delle psicosi del potere. Così come si dovrà accettare che sul massacro del 7 ottobre opera di Hamas e la conseguent­e carneficin­a israeliana a Gaza con quasi 30mila morti non esista un’opinione condivisa. Né in Italia, né nel resto del mondo.

C’è poi il problema del «riequilibr­io». La destra al governo, a partire da Giorgia Meloni, ha ribadito più volte la necessità di «riequilibr­are» il servizio pubblico. Una parola sobria che può far scudo alle più fameliche pulsioni di controllo e censura da parte del potere. Di certo non nuove in Rai, ma particolar­mente sfacciate e voraci con questa nuova classe dirigente.

È normale, ad esempio, che il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa —a Un giorno da pecora su Radio Rai 1 — abbia criticato Amadeus, perché «doveva dire che Tito era comunista», ricordando la commemoraz­ione delle foibe?

LA CONDUTTRIC­E SI È TROVATA AD AFFRONTARE UNA SERIE DI PATATE BOLLENTI CHE DOMENICA IN NON È PRONTA A GESTIRE

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il mondo , la politica
SETTE E MEZZO Ogni sette giorni sette mezze verità. Risposte alle vostre domande sull’attualità, il mondo , la politica
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