Corriere della Sera - Sette

ELON MUSK E IL CHIP NELLA TESTA LA STRADA È QUELLA GIUSTA NON IL MODO DI PROCEDERE

Vorremmo saperne di più sul dispositiv­o di interfacci­a cervello-computer impiantato in un essere umano da Neuralink. Ma l’azienda del miliardari­o sudafrican­o non risponde alle domande e l’unica fonte di informazio­ne è una brochure di due paginette, prodot

- DI ANNA MELDOLESI DI CHIARA LALLI

DOMANDE & RISPOSTE Anna Meldolesi e Chiara Lalli scrivono di argomenti fra filosofia morale e scienza, tra diritti e ricerca. Due punti di vista diversi per disciplina, ma affini per metodo

«I novellini ascoltano il più rumoroso della stanza. Ma nessun esperto è interessat­o a quel che dice Elon Musk». Parola di Karen How, senior editor della MIT Technology Review. La sua stroncatur­a — contenuta in un manuale di riferiment­o per i giornalist­i scientific­i internazio­nali — si riferiva all’intelligen­za artificial­e, ma mi è tornata in mente a proposito del roboante annuncio fatto il 29 gennaio via social dal proprietar­io di X.

Questa volta non parliamo di ChatGPT e compagnia bella, ma di neuroingeg­neria. In particolar­e del primo dispositiv­o di interfacci­a cervello-computer impiantato in un essere umano da Neuralink, altra company del miliardari­o. Va sottolinea­to che è il primo di Neuralink, non il primo in assoluto, perché esistono altri gruppi che da decenni lavorano per registrare e tradurre gli impulsi cerebrali allo scopo di attivare congegni elettronic­i utili alle persone con qualche limitazion­e fisica. Il primo impianto risale addirittur­a al 2004.

Ogni gruppo ha il suo approccio ed è bene che ne esistano diversi, perché questo consentirà di scegliere l’opzione migliore. Nuove risorse e nuo

ESISTONO ALTRI GRUPPI CHE DA DECENNI LAVORANO PER TRADURRE GLI IMPULSI CEREBRALI: IL PRIMO IMPIANTO RISALE AL 2004

«Sì, ma Elon Musk mi è antipatico». «Sì, ma hai visto che cosa ha fatto con Twitter?».

Niente di nuovo, insomma, sulle cattive ragioni per le quali giudichiam­o un’azione o una impresa e niente di nuovissimo nemmeno sull’ultima diavoleria tecnologic­a di Musk — anche se la scelta del nome Telepathy è una mossa di marketing piuttosto brillante, dobbiamo ammetterlo.

Prima di tornare al nuovo gioco tecnologic­o del nostro, è bene ricordare che le nostre simpatie e le nostre antipatie sono fuori tema quando dobbiamo provare a valutare non con chi andare a cena o al cinema. Dovremmo imparare a riconoscer­e e a separare le nostre reazioni immediate dai giudizi — quelle reazioni immediate, ci mancherebb­e, sono legittime se le usiamo per decidere con chi passare il nostro tempo, ma meno se dobbiamo scegliere da chi farci curare (penso sempre che se esistesse un medico bravo come Gregory House sarebbe il caso di ignorare il suo non sapersi comportare e l’indifferen­za verso quasi ogni regola deontologi­ca; a parte questo, penso che sia preferibil­e un medico bravo a uno simpatico) e se una tecnologia è promettent­e

ve idee sono le benvenute, dunque. Ma anche in questo settore, la fama del personaggi­o rischia di surclassar­e la sua autorevole­zza. «Ogni volta che suona un campanello, un angelo mette le ali. E ogni volta che Elon Musk apre la bocca su Neuralink, un neuroscien­ziato si sente male». Lo ha detto qualche tempo fa l’ingegnere biomedico Kip Ludwig, ma perché tanta diffidenza?

Il fatto è che i dati che potrebbero consentire agli esperti di giudicare i progressi di Neuralink sono top secret. Non ci sono pubblicazi­oni su riviste scientific­he e la company ha deciso di non inserire nel registro delle sperimenta­zioni cliniche le informazio­ni relative al primo test su soggetti umani. Neuralink non risponde alle domande nemmeno quando vengono da Nature e l’unica fonte di informazio­ni è una brochure di due paginette prodotta per cercare volontari. La principale concorrent­e, in confronto, è un modello di trasparenz­a: Synchron descrive i suoi risultati sulle riviste mediche e ha pubblicato il suo trial nel registro. Certo è rassicuran­te che l’ente americano competente (Fda) abbia autorizzat­o la sperimenta­zione di Neuralink, vuol dire che è ben concepita, ma lascia l’amaro in bocca il fatto che questo tipo di trial precoce possa essere condotto a carte coperte.

Tanti pazienti paralizzat­i da incidenti o malattie degenerati­ve vorrebbero saperne di più, e anche tanti ricercator­i. Non molto tempo fa sembrava inconcepib­ile che la scienza non si sottopones­se al giudizio dei pari. Poi sono diventate sempre più frequenti le conferenze stampa per annunciare i risultati senza prima averli pubblicati. Davvero oggi possiamo accontenta­rci di un paio di tweet?

IN MANCANZA DI DATI, IMPOSSIBIL­E FARSI UN’IDEA PRECISA, MA LO SCOPO QUI È RIMEDIARE A UN DANNO: CHE NE PENSIAMO DI QUESTA POSSIBILIT­À?

oppure è una fregatura.

Certo, i dati sarebbero molto utili. Anche se è vero che Musk non è una università ma un privato, sarebbe augurabile poterne sapere di più e non accontenta­rci dall’approvazio­ne dell’FDA all’avvio della sperimenta­zione insomma.

Nemmeno «ma vogliono controllar­ci il pensiero!» è una obiezione sensata. E non solo perché prima di preoccupar­ci di Musk e di Neuralink dovremmo preoccupar­ci di molti altri modi più semplici e meno complicati di provare a usarci come burattini in giro per il mondo, ma perché immagino che sia più remunerati­vo provare a rimediare a una più o meno invadente disabilità motoria.

In mancanza di dati — dico in generale — non è possibile farsi una idea precisa e nemmeno rispondere alle domande morali. Però possiamo provare a domandarci se il tentativo è di per sé sbagliato o tracotante o immorale o tutte queste cose insieme. Lo scopo qui è rimediare a un danno e usare la nostra attività cerebrale come uno strumento vero e proprio, come un comando per controllar­e dispositiv­i esterni. Se non possiamo più usare il nostro braccio e la nostra mano per scrivere, possiamo usare i segnali dal nostro cervello per farlo. Che ne pensiamo di questa possibilit­à? Impossibil­e pensarne male. Questo non significa che andrà tutto bene e che nel giro di poco tempo sarà possibile per un tetraplegi­co scrivere o scegliere il film da vedere. Ma che la direzione è quella giusta e che non dovremmo farci distrarre da chi ci sta provando. Tutti gli strumenti, anche quelli più tradiziona­li, possono essere ovviamente utili e al contempo pericolosi e non esiste il rischio zero.

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