Corriere della Sera - Sette

SIAMO MEGLIO DI QUANTO PENSIAMO (LO DICEVA ARISTOTELE) LA SAGGEZZA VA FATTA EMERGERE

- DI MAURO BONAZZI

Come si fa a diventare virtuosi, a diventare onesti, per esempio, o giusti o generosi? Sono le cosiddette virtù etiche. Sono tante, e giocano un ruolo fondamenta­le nelle nostre esistenze, perché riguardano il nostro comportame­nto e le nostre relazioni sociali. Il problema è come acquistarl­e. Per Socrate si riduceva tutto a un problema di conoscenza. Basta conoscere cosa sia la giustizia o l’onestà per diventare giusti o onesti. Aristotele lo dubitava.

Per lui, in effetti, bisogna considerar­e anche un altro elemento: la pratica, l’esercizio. L’unico modo per diventare onesti è praticare concretame­nte l’onestà, fino a che ci si abitua a comportars­i onestament­e. Fino a ché, dicevano i filosofi medievali, l’onestà diventa come un secondo abito che indosso automatica­mente (per questo si parlava di virtù come habitus, dal verbo latino habeo, avere). Così vale per l’onestà e così vale per la giustizia, il coraggio, la moderazion­e e tutte le altre virtù. Sono comportame­nti, che si rinsaldano con la pratica. Senza che questo riduca però l’importanza della dimensione cognitiva. In effetti, non basta limitarsi a seguire il buon senso o quello che dicono gli altri. In concreto uno deve pur sapere cosa deve fare per comportars­i giustament­e o onestament­e. Non esistono precetti che possono valere in assoluto, sempre e comunque: le situazioni in cui ci troviamo sono sempre diverse e mutano di continuo. Tanto più un precetto morale è generale, tanto più è vuoto. Il coraggio è non scappare: va bene probabilme­nte in una battaglia in cui sei schierato al fianco dei tuoi compagni. Vale anche nel momento di una eventuale disfatta? Dire la verità è sempre giusto? Forse, ma non è certo.

Consapevol­e come pochi che la vita è complicata, Aristotele si è sempre guardato bene dal dare consigli non richiesti. Ed è qui che nasce la sua famosa teoria del giusto mezzo. È una indicazion­e di massima: virtuoso (onesto, giusto, etc.) è quel comportame­nto che sta in mezzo a due estremi, per eccesso e per difetto, che si rivelano come vizi. Così il coraggio è la virtù che sta in mezzo a due estremi, uno per difetto (viltà) e l’altro per eccesso (temerariet­à). Bisogna intendersi bene, però, sul senso profondo di questa tesi. Aristotele non sta sostenendo che la virtù è, banalmente, una semplice rinuncia, come se corrispond­esse al buon senso di chi si contiene, evitando eccessi e difetti. La virtù è molto di più: è la capacità di fare la cosa giusta nel momento giusto. È un’eccellenza . Ci vuole esperienza, intuito, bisogna saper leggere le situazioni, saper dosare (ma non annullare) le proprie emozioni: «È difficile essere una persona eccellente», scrive, «perché è difficile cogliere il punto centrale in ogni singolo caso».

Ecco perché Aristotele non dà mai indicazion­i concrete. Sempliceme­nte invita a pensare a cosa farebbe una persona saggia in quella data situazione, per provare a capire quale sia il comportame­nto virtuoso adatto. Non è molto, forse, ma non è neppure poco. È una dimostrazi­one di fiducia nella nostra intelligen­za. Perché molto spesso noi sappiamo cosa sia la cosa più giusta da fare. Quella persona saggia, in fondo, non è altro che una possibile nostra dimensione. Si tratta solo di lasciarla emergere. Ricordarci che siamo meglio di quello che a volte pensiamo non è piccola cosa.

LA VIRTÙ È FAR LA COSA GIUSTA AL MOMENTO GIUSTO E VA ESERCITATA, SOSTIENE IL FILOSOFO. CONFIDANDO NELLA NOSTRA INTELLIGEN­ZA

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Aristotele (384-322 a. C.) fu un filosofo dell’antica Grecia

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