SIAMO MEGLIO DI QUANTO PENSIAMO (LO DICEVA ARISTOTELE) LA SAGGEZZA VA FATTA EMERGERE
Come si fa a diventare virtuosi, a diventare onesti, per esempio, o giusti o generosi? Sono le cosiddette virtù etiche. Sono tante, e giocano un ruolo fondamentale nelle nostre esistenze, perché riguardano il nostro comportamento e le nostre relazioni sociali. Il problema è come acquistarle. Per Socrate si riduceva tutto a un problema di conoscenza. Basta conoscere cosa sia la giustizia o l’onestà per diventare giusti o onesti. Aristotele lo dubitava.
Per lui, in effetti, bisogna considerare anche un altro elemento: la pratica, l’esercizio. L’unico modo per diventare onesti è praticare concretamente l’onestà, fino a che ci si abitua a comportarsi onestamente. Fino a ché, dicevano i filosofi medievali, l’onestà diventa come un secondo abito che indosso automaticamente (per questo si parlava di virtù come habitus, dal verbo latino habeo, avere). Così vale per l’onestà e così vale per la giustizia, il coraggio, la moderazione e tutte le altre virtù. Sono comportamenti, che si rinsaldano con la pratica. Senza che questo riduca però l’importanza della dimensione cognitiva. In effetti, non basta limitarsi a seguire il buon senso o quello che dicono gli altri. In concreto uno deve pur sapere cosa deve fare per comportarsi giustamente o onestamente. Non esistono precetti che possono valere in assoluto, sempre e comunque: le situazioni in cui ci troviamo sono sempre diverse e mutano di continuo. Tanto più un precetto morale è generale, tanto più è vuoto. Il coraggio è non scappare: va bene probabilmente in una battaglia in cui sei schierato al fianco dei tuoi compagni. Vale anche nel momento di una eventuale disfatta? Dire la verità è sempre giusto? Forse, ma non è certo.
Consapevole come pochi che la vita è complicata, Aristotele si è sempre guardato bene dal dare consigli non richiesti. Ed è qui che nasce la sua famosa teoria del giusto mezzo. È una indicazione di massima: virtuoso (onesto, giusto, etc.) è quel comportamento che sta in mezzo a due estremi, per eccesso e per difetto, che si rivelano come vizi. Così il coraggio è la virtù che sta in mezzo a due estremi, uno per difetto (viltà) e l’altro per eccesso (temerarietà). Bisogna intendersi bene, però, sul senso profondo di questa tesi. Aristotele non sta sostenendo che la virtù è, banalmente, una semplice rinuncia, come se corrispondesse al buon senso di chi si contiene, evitando eccessi e difetti. La virtù è molto di più: è la capacità di fare la cosa giusta nel momento giusto. È un’eccellenza . Ci vuole esperienza, intuito, bisogna saper leggere le situazioni, saper dosare (ma non annullare) le proprie emozioni: «È difficile essere una persona eccellente», scrive, «perché è difficile cogliere il punto centrale in ogni singolo caso».
Ecco perché Aristotele non dà mai indicazioni concrete. Semplicemente invita a pensare a cosa farebbe una persona saggia in quella data situazione, per provare a capire quale sia il comportamento virtuoso adatto. Non è molto, forse, ma non è neppure poco. È una dimostrazione di fiducia nella nostra intelligenza. Perché molto spesso noi sappiamo cosa sia la cosa più giusta da fare. Quella persona saggia, in fondo, non è altro che una possibile nostra dimensione. Si tratta solo di lasciarla emergere. Ricordarci che siamo meglio di quello che a volte pensiamo non è piccola cosa.
LA VIRTÙ È FAR LA COSA GIUSTA AL MOMENTO GIUSTO E VA ESERCITATA, SOSTIENE IL FILOSOFO. CONFIDANDO NELLA NOSTRA INTELLIGENZA