LE CHIAMANO «FOTOGRAFIE ORFANE» NON HANNO DATA NÉ NOME COSÌ CONTROMANO IN QUESTO MONDO
Matteo Di Castro, libraio e gallerista, accanto a foto di autori importanti (da Letizia Battaglia a Mario Carbone) espone foto anonime. Fotoanonime è un progetto che Di Castro porta avanti da anni. Piccole foto senza data, né nomi.
Appositamente mischiate in una scatola, dove tutto si sovrappone: madri, padri, figli, adulti, neonati, di cui non sappiamo niente.
Dalla soffitte e dalle cantine di case abbandonate, spuntano le «fotografie orfane», così le definisce Di Castro, scatti che finirebbero nell’immondizia e che lui recupera. Questo il gesto artistico: lasciarle orfane, senza pretendere di ricostruirne la storia, senza ricercare l’identità dei soggetti ritratti. Gesto artistico controtendenza in un tempo in cui tutto va nominato, in cui l’identità è il proprio nome ripetuto più volte possibile. Nome come marchio, property.
Pensiamo allora ai grandi designer degli anni Settanta: Enzo Mari che non brevetta le sue creazioni perché, a suo dire, patrimonio comune.
Probabile che la perdita del nome sia conquista culturale, o atto politico, o presunzione (essere riconosciuti per lo stile senza bisogno di firma).
Sia quel che sia, è di certo scelta significativa rendersi anonimi, dare all’anonimato un senso collettivo, come fa Di Castro.
E vengo a me: da sempre tengo sul comodino la foto di mia madre con me neonata tra le braccia.
Tranne di recente, col passaggio in digitale, scoprire che il neonato ritratto non sono io bensì mio fratello gemello. Colpa di mia madre che custodiva i ricordi in una scatola. Senza data, né didascalia, scatti di bambini che potrebbero essere chiunque – nonna, nonno, bisnonna, zio, maschi e femmine indifferentemente.
Ho tentato di catalogare le immagini, di risalire all’identità delle persone che comparivano, ma siccome i miei familiari sono tutti morti è stato impossibile.
Gettate nuovamente nella scatola, ho abbandonato il progetto.
Per chiunque le troverà in futuro: materiale indistinto che racconta una famiglia, ma non solo – il sospetto è che ci siano tanti estranei. In prevalenza bambini (mia figlia di pochi mesi è identica a mio padre di pochi mesi, stessa posa, unica differenza il bianco e nero. Ma se quello non fosse mio padre? A chi è identica mia figlia?).
Rinunciando all’identificazione mi sono detta che destinavo la mia famiglia all’oblio. Oggi ho un ripensamento: e se fosse proprio la somma di infanzie indistinte a fare l’io? Idee sbagliate, falsi ricordi, suggestioni fasulle, bambini immaginati, i bambini che abbiamo pensato di essere, tutti i bambini che sono venuti prima di noi. L’umanità che ci ha preceduto.
MI PIACE L’IDEA DEL LIBRAIO DI CASTRO: DARE UN SENSO COLLETTIVO ALL’ANONIMATO. PERCHÉ SIAMO L’UMANITÀ CHE CI HA PRECEDUTO