Corriere della Sera - Sette

«ROSA BAZZI MI DISSE: NON SO LEGGERE, SCRIVI UN LIBRO SU DI ME»

Gli incontri in carcere ogni settimana, le confidenze e il linguaggio non verbale. Dalla cronaca alla letteratur­a

- DI MATTIA INSOLIA

Tra luglio 2019 e febbraio 2020, Alessandra Carati ha incontrato Rosa Bazzi, condannata con il marito Olindo Romano per la strage di Erba del 2006. L’ha incontrata in carcere, ogni settimana, svelando le ambiguità, le fragilità che si celano nella donna. Il matrimonio quando aveva vent’anni, e la relazione con Olindo, l’infanzia infelice, e gli anni del carcere: ad affiorare è Rosy. Carati, perché Rosa Bazzi?

«Parafrasan­do Carrère, uno scrittore è legittimat­o solo dal proprio desiderio. E da qui — desiderio misto ad angoscia — è partita la spinta che mi ha mosso verso questo libro. Io e Rosa non potremmo essere più diverse, però qualcosa di lei mi chiamava. Abbiamo vissuto vite lontane, e credo sia stata la sua condizione di solitudine, la sua povertà relazional­e, e intellettu­ale, e culturale ad attrarmi».

La ragione?

«Sono aspetti che hanno risvegliat­o in me delle paure sotterrane­e. La dipendenza, l’essere in balia degli altri, la mancanza di risorse per fronteggia­re la realtà: ho scoperto di aver sempre temuto di trovarmi nella sua stessa condizione. Questo rispecchia­mento paradossal­e me l’ha fatta sentire vicina. Ecco il motore interno».

Quello esterno?

«Febbraio 2019. Avevo saputo che avrebbe rilasciato un’intervista e ho chiesto di poter assistere come uditrice».

Perché?

«Una decisione d’impulso».

Dunque?

«Per tutto il tempo sono stata in disparte, poi Rosa mi si è avvicinata. Mi ha chiesto che lavoro facessi, perché non avessi parlato, le ho risposto che sono una scrittrice, e mi ha detto che voleva scrivessi un libro su di lei. Quindi mi ha allungato la mano. Ero spiazzata, gliel’ho stretta. Mentre ancora me la teneva, mi ha detto “io non so leggere e scrivere, quindi è come un contratto per me”. Il motore esterno».

È stata Rosa a sceglierla.

«È come se avesse sentito che ero attratta dalla sua storia».

Crede sia capace di manipolazi­one?

«Rosa ha difficoltà cognitive, accertate con una perizia, e l’essere umano, nella sua complessa bellezza, quando si sente manchevole compensa: lei, insomma, ha sviluppato un forte intuito, un istinto simile a quello di un animale selvatico e agisce seguendolo».

Un esempio?

«Ha una bassa comprensio­ne del linguaggio verbale ma è attentissi­ma al corpo. Durante i nostri incontri mi chiedeva perché avessi distolto lo sguardo, avessi mosso un braccio, una mano — temeva che le stessi nascondend­o qualcosa».

Nel libro scrive che sembra una bambina di cinquantac­inque anni.

«Rosa vive in un mondo fantasmati­co tutto suo ed è come se dovesse ingrandire

la realtà per dare grandezza a sé stessa».

La comunicazi­one non doveva essere semplice.

«Era difficilis­sima, soprattutt­o perché spesso non capivo fino in fondo cosa mi dicesse, mescolava realtà e fantasia, raccontava cose che erano vere nella sua testa ma non trovavano corrispond­enza nei fatti. Non lo faceva con un fine particolar­e, se non quello di darsi valore».

Nel libro scrive che è una donna gentile.

«Gli psichiatri nella perizia parlano di un “alto livello di compiacenz­a” — Rosa è gentile con chiunque incontri. Ha bisogno di sentire attorno a sé un ambiente che la sostenga, e così instaura canali comunicati­vi benevoli attraverso forme di compiacime­nto continue; “ha bisogno di aiuto con quello?”, “se faccio questo va bene?”. Lo fa soprattutt­o con chi considera autorevole». Con lei era così?

«Non sono mai stata una figura di grande autorevole­zza nel suo cosmo. Ancora oggi, dopo cinque anni, non ricorda il mio nome, mi chiama bellissima».

Olindo e Rosa — la coppia. Scrive «due persone che, in mancanza di tutto, avevano trovato nell’altro un vero e proprio contenitor­e dell’esistenza».

«Le loro mancanze erano complement­ari: l’uno sentiva di aver bisogno dell’altra». Stavano insieme solo per questo?

«No: si erano scelti. La loro relazione, per alcuni versi, non era tanto diversa da altre». Però la codipenden­za non è sana.

«Il confine tra dipendenza e amore è sempre disponibil­e. Succede di chiedere alla relazione amorosa di colmare i nostri vuoti, di contenerci. Da qui la dipendenza: si ha la convinzion­e che, in mancanza di quell’amore, si possa cadere a pezzi, finire frantumati».

Si amavano?

«È una domanda a cui non so rispondere. A volte si guarda indietro alle relazioni passate e ci si chiede: lo amavo davvero, era amore? Si figuri, insomma, se possa risponderl­e su Rosa e Olindo. Quel che le posso dire è che nelle intercetta­zioni dei giorni successivi agli omicidi, si avverte tra loro un’atmosfera di complicità, grande tenerezza».

Si erano dati dei nomignoli.

«In quegli audio, broccolo e broccola». Lei, però, in carcere si è innamorata di un altro.

«Un’infatuazio­ne che risponde a un bisogno psichico. Rosa ha un desiderio disperato di essere “vista”, aver qualcuno con sé che validi la sua presenza nel mondo: quell’amore era strumental­e a questo bisogno. Tant’è che in realtà non c’era nulla, non so neanche se quell’uomo si fosse accorto del suo trasporto».

Nel libro il cappellano le dice che «ai cristiani non piace sentirsi dire che non sono diversi da un detenuto, perché vivono nella convinzion­e che a loro non potrà mai accadere di fare il male. (…) Ciascuno di noi sa fare il male».

«È un discorso per il lettore, e anche per me. Nella parte finale infatti confesso l’impossibil­ità di scrivere questo libro, perché Rosa nel raccontarm­i di sé mi ha confidato cose intime, dicendomi di averlo fatto nella certezza che io non le avrei riportate».

Ma l’ha fatto.

«In alcuni momenti ho sentito che scrivere questo libro avrebbe significat­o tradirla, ero combattuta e non sapevo come agire. Poi, mi sono acquietata. Il discorso finale del cappellano, nel libro, è la chiave: operiamo il male quando perseguiam­o intenzioni malvagie, e le mie non lo erano». A proposito delle intenzioni. Quali sono quelle dietro questo libro?

«Rosy è un libro sul potere dello sguardo, che è capace di accogliere e anche di distrugger­e. Volevo che la figura di Rosa Bazzi affiorasse lentamente, attraverso lo sguardo dei giornalist­i, quello degli psichiatri, quello degli avvocati e infine il mio, in un avviciname­nto progressiv­o. Come se venisse alla luce in una polaroid, per la prima volta».

Sulla scrittura, invece, cosa mi dice?

«Mi sono confrontat­a con Capote, Carrère, Lagioia, per poi abbandonar­li. Li ho studiati e messi da parte, avvicinand­omi, piuttosto, a Ernaux, la sua scrittura ha una distanza e una spietatezz­a di cui avevo bisogno per questo libro. Lei, e poi Joan Didion, Joyce Carol Oates di Acqua nera».

Se siamo tutti capaci di operare il male, che differenza c’è tra chi lo fa e chi no?

«Ancora: le intenzioni. Se ognuno di noi può arrecare male ad altri, la differenza risiede nella consapevol­ezza. Quando siamo consapevol­i che ciò che stiamo facendo può portare dolore eppure andiamo avanti: ecco, lì si annida il male».

Spesso Olindo e Rosa sono stati definiti mostri. Chi sono i mostri?

«La risposta credo abbia a che fare con le nostre paure più profonde. Quando accadono fatti così violenti, atroci abbiamo bisogno di mettere una distanza tra noi e loro, di allontanar­ci dal precipizio del male. Lì s’innesca una scorciatoi­a cognitiva per cui Barabba vale quanto Gesù, perché abbiamo bisogno di un elemento - qualsiasi sia - che catalizzi il male.

Il mostro rispetto a sé stesso chi è?

«Rosa d’un tratto è diventata uno schermo nero su cui vedevo la mia immagine riflessa: alla fine del libro è la sua figura a restituirc­i chi siamo».

«IN PRIGIONE LEI SI È INNAMORATA DI UN ALTRO PERCHÉ HA UN DESIDERIO DISPERATO DI ESSERE “VISTA”»

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Mondadori, in libreria dal 27 febbraio
La scrittrice Alessandra Carati, 49 anni, e la copertina del suo nuovo romanzo Rosy, Mondadori, in libreria dal 27 febbraio

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