Corriere della Sera - Sette

Il messia del reggae danza su San Siro, le braccia aperte come Cristo crocefisso

Un giubilo universale fatto di applausi, grida, ululati e fischi americani accoglie la sua gran testa di treccioni neri che si agita ritmicamen­te. Bob Marley, atteso da ore, terrà in mano tutta la sua folla fino alla fine. Passando dalla religiosa «Vibrat

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La folla lo aspetta, da ore. E quando lui finalmente appare, là in fondo, sulla ribalta di San Siro, è come fosse il messia: un boato di giubilo universale fatto di applausi, grida, ululati, fischi (americani). Bob Marley, monarca del «reggae», ha portato a Milano, per una sera, la musica della Giamalca e il vento delle Antllle. Arriva al proscenio con la chitarra, circondato dalle tre ladies vocallste, vestite dei colori giamaicani (verde giallo rosso), e dal suoi musicisti. Anche da lontano si può vedere la sagoma mobilissim­a di quella sua gran testa di treccloni neri agitarsi ritmicamen­te.

Ma, all’inizio del concerto, Marley dà l’Impression­e di voler dosare gli effetti (...). Nel repertorio ci sono canzoni note: e appena lui attacca un motivo che è già nell’orecchio di tutti (si fa per dire), il pubblico lo accompagna battendo le mani e aggiungend­o ritmo al ritmo. Le vocallste, Rita Marley (sua moglie), Judy Mowat e Marcia Grlfflth, donne di discreta mole, si muovono con leggerezza. «Vibratlons», attacca Marley in una canzone che è un po’ il suo credo mistico: ed è ormai chiaro che il contatto col pubblico è stato definitiva­mente stabilito.

Poi, quasi subito, si entra nel mondo politico e sociale; e infatti, Marley ti raccomanda di «non lasciare mai che un uomo politico ti faccia/un favore/sarai strumental­izzato per sempre...». Ma non bisogna aver paura perché «noi abbiamo fulmini, tuono, zolfo e fuoco»; e occorre che la giustizia «copra la terra, come l’acqua copre il mare».

Concetti caldi, seguendo i quali – sull’onda delle canzoni –, Marley riprende la sua intera vitalità: e lo vedi danzare con braccia e gambe come un animale felice, sollevando le ginocchia in alto, fino a quasi prenderle in bocca. (...) Ogni tanto apre le braccia come Cristo crocefisso, (...) ogni tanto scuote la testa in rabbiosi dinieghi, rovesciand­ola avanti e indietro, i capelli ondeggiant­i e compatti come una criniera.

(...) «No woman no cry», no donna non piangere, canta Bob Marley: e la sua voce ora grave e roca, ora stridula, ripercorre (...) gli itinerari dell’Infanzia.

(...) Ed ecco arrivarti addosso come una bufera l’ossessiona­nte ritornello di «Get up, stand up/stand up for your rights» (alzatevi, tiratevi su/ribellatev­i per i vostri diritti), seguito da una accusa circostanz­iata alla «religione di Stato o alla religione dello establishm­ent che Marley ha sempre respinto a favore di un suo credo: «Prete non dirmi che il paradiso è sottoterra».

(...) Ecco «Revolution», con l’ossessiva insistenza su parole come «fulmini, tuoni, zolfo e fuoco»; ecco la ballata di «Johnny era», con quella madre che piange il figlio ucciso In strada (...) : ed ecco che Bob Marley il ha ancora tutti in mano: tutti, fino alla fine.

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