MAURIZIO COSTANZO
LE DOMANDE DA GATTO SORNIONE DEL GIORNALISTA CHE VIVEVA IN TV
Cosa c’è dietro l’angolo?». Così, accovacciato su uno sgabelletto dietro al suo intervistato, Maurizio Costanzo interrogava i suoi ospiti, con fare sornione e gattesco. La domanda arrivava sempre, a un certo punto della chiacchierata, e andava a comporre un mosaico della contemporaneità e dei suoi possibili sviluppi futuri.
Era la fine degli anni Settanta, l’Italia e il mondo cominciavano a virare verso il Riflusso, e l’uomo che con quella trasmissione, Bontà loro, aveva inventato il talk show, macinava ascolti mentre si allungava la lista di potenti o solo aspiranti tali che volevano accomodarsi su quelle poltroncine per confessarsi e mettere a nudo l’anima davanti al suo occhio indulgente e indagatore. Incatenati e incantati dalla felpatezza delle sue domande: piazzava anche quelle più scomode con dolcezza, come ha ricordato Pippo Baudo. E l’Italia dei potenti non poteva sfuggire all’ambito confessionale: tutti e tutte, sventurati e sventurate, rispondevano. Giulio Andreotti impettito come il suo imitatore di culto Alighiero Noschese confessava di come a scuola non gli fosse mai sfuggito il 10 in condotta anche se distribuiva calci ai compagni sotto il banco così, «per distrarsi un po’ e non intorpidirsi, senza malizia»; poi rivendicava il copyright della massima Il potere logora chi non ce l’ha, e raccontava di come avesse bizzarramente dichiarato alla moglie Livia la sua «volontà matrimoniale» in un cimitero.
Fenomeno italico, inizio della spettacolarizzazione delle vite e della politica, quel Bontà loro, nonché prova generale di quello che sarebbe diventato il grande rito liturgico collettivo, il Maurizio Costanzo Show (appuntamento extralongevo della tv, andato in onda dal 1982 al 2009 e poi ancora dal 2015 al 2022), dove il confessionale si allargava a più ampie platee, e dove avevano diritto a salire sul palco famosi, aspiranti famosi, ignoti, mentre lui con capacità taumaturgica componeva il cast serale. Ha scoperto negli anni Vittorio Sgarbi, Enrico Brignano, Valerio Mastandrea, Giobbe Covatta, Giampiero Mughini, Enzo Iachetti, Dario Vergassola, Ricky Memphis, Platinette, Fiorello; ha cambiato vite: Luciano De Crescenzo dopo qualche comparsata da Costanzo ha abbandonato il posto fisso in Ibm per una fortunata carriera di filosofo e opinionista tv.
Onnivoro appassionato di notizie, consumatore e creatore di comunicazione, Maurizio da Ortona, anche se nato a Roma, aveva il bernoccolo del giornalismo: ha raccontato che a 9 anni si faceva un giornalino da solo, ma anche che passava ore con in mano un portasapone rovesciato usato come microfono. Uno zio gli faceva leggere le terze pagine del Corriere, e lui si appassionò a Montanelli: «A 14 anni gli scrissi una lettera come avrei potuto scrivere a un calciatore: Io vorrei conoscerla…», ha raccontato al Corriere dello Sport.
Innamorato della comunicazione a 360 gradi, da subito Maurizio si è diviso fra carta stampata (Corriere Mercantile, Grazia, L’occhio di cui è stato direttore) e radio e televisione. E così è andato avanti fino alla fine con l’ultima trasmissione Facciamo finta che, fra molti successi e qualche inciampo (l’iscrizione alla P2, l’attentato subito dalla mafia), che ha saputo trattare e risolvere in positivo, proprio grazie alla sua capacità affabulatoria e comunicativa.
Viveva di tv e in tv, aiutato da una sapiente romanità che stempera gli alti e bassi dell’ottovolante della vita: «Quando ero giovane si girava in filobus e quando comprai una Giulietta con i primi soldi guadagnati, le zie temevano che fossi dedito a strani commerci. Mio padre era fisicamente identico a Petrolini ed era spiritosissimo, grande battutista»: ha illustrato così la sua vita di ragazzo in un’intervista per il Corriere a Barbara Palombelli. Un humus familiare sano e disincantato che l’ha guidato nella costruzione di un rapporto di indulgente rassicurazione e identificazione con il pubblico.
Facile che anche in morte (il 24 febbraio 2023) ogni atomo della sua vastissima platea, cresciuto con lui negli anni, l’abbia salutato come un fratello, un genitore, un parente, un compagno di strada. Come ha scritto Aldo Grasso nella sua rubrica post mortem: «I funerali dei personaggi tv diventano una liturgia mediale, la continuazione di un programma, come se la tv fosse l’unica istituzione che ci richiama ancora al rito, al simbolo, alla cerimonia». E la lunga pratica di talk show ha accentuato questo carattere confidenziale: «I conduttori diventano punti di riferimento, padri della patria, confidenti, membri della famiglia. Le persone che andavano a chiedere un selfie a Maria De Filippi chiedevano un favore a un’amica, a una persona considerata tale». E Maria non si sottraeva, pensando che Maurizio avrebbe voluto così.