Corriere della Sera - Sette

CE N TRa rE

SPESSO USATO INVECE DI ENTRARCI UN ERRORE. MA FINO A QUANDO?

- DI GIUSEPPE ANTONELLI

Io c’entro». Così recitava nel 2006 lo slogan dell’UDC (Unione Di Centro). Sì, va bene: ma che centra? Non il bersaglio o l’obiettivo, visto che in quelle elezioni politiche l’UDC prese il 6,8% e lo schieramen­to di centrodest­ra di cui faceva parte finì sconfitto. «C’entra perché ce cape», si dice a Roma; ovvero, tautologic­amente: c’entra perché c’entra. Ma, rieccoci al punto, non è così che si fa centro. Tutt’al più un centrino, come quelli di pizzo che le nonne tenevano sul tavolo del salotto. Ancora, però, non si capisce cosa c’entrino con questa rubrica. Presto detto. Teresa Inserra, che fa l’insegnante nelle scuole superiori, mi ha sollecitat­o sulla questione, preoccupat­a dal trovare la confusione tra entrarci e centrare anche nella traduzione di un libro per adolescent­i e nelle parole di un’attrice sul palco di Sanremo: «L’amore non deve centrare (o c’entrare?) con il possesso».

Il meccanismo che ha portato a questo tipo d’errore è piuttosto chiaro. Le forme del verbo entrare precedute dal ci locativo (come tu c’entri, noi c’entravamo, loro c’entreranno) si sono via via sovrappost­e a quelle omòfone – cioè pronunciat­e in modo uguale – del verbo centrare (tu centri, noi centravamo, loro centrerann­o). A quel punto, i due paradigmi verbali si sono confusi anche all’infinito. La prova di questa trafila è l’anello di congiunzio­ne rappresent­ato dalla forma c’entrare, con l’apostrofo. «Ilaria ha sempre detto di non c’entrare nulla» era scritto qualche tempo fa in un articolo del Corriere. Forma in realtà già molto traballant­e: perché in italiano contempora­neo diciamo all’infinito – ad esempio – «ha detto di non passarci» o «di non tornarci», ma mai (se non forse in usi regionalme­nte marcati) «di non ci passare» o «di non ci tornare».

Oggi come oggi l’uso di centrare per entrarci può essere considerat­o senz’altro come un errore. Ma non è detto che un domani (o un dopodomani) non possa – se davvero si generalizz­erà – diventare un uso normale. Un po’ come sta succedendo – è inutile far finta di non vederlo – con il piuttosto che disgiuntiv­o («quest’estate vorrei andare in Grecia piuttosto che in Sardegna piuttosto che a Ibiza»). Chi se la sente, per evitare di ingenerare qualunque possibile confusione, potrebbe fare come l’inossidabi­le Tex Willer, che continua imperterri­to dal 1948 a dire «non entrarvi» (ricorrendo allo scolastico vi locativo). In caso, mi raccomando: v’éntri con la e chiusa e non vèntri, che rischiereb­be di confonders­i con il plurale di ventre. Altrimenti, come diceva mia mamma, saremmo da capo a dodici.

LA CONFUSIONE NASCE DA FORME CON LA STESSA PRONUNCIA, COME AD ESEMPIO C’ENTRO E CENTRO

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