IL VERDETTO DELLA CORTE E IL 74% DEGLI ITALIANI FAVOREVOLI AL SUICIDIO ASSISTITO: PROVIAMO A RAGIONARE SUL FINE VITA
In principio fu Loris Fortuna. Al partigiano socialista che ha legato il suo nome alla legge sul divorzio toccò in sorte una macabra contestualità: presentare la prima legge sull’eutanasia, e poco dopo morire. Era il 1985, Fortuna aveva sessant’anni e bisognerà aspettarne più di trenta perché l’eutanasia approdi nelle aule del Parlamento. Bisogna aspettare il 3 marzo 2016, per la precisione. Questa data è entrata nella Storia e frettolosamente ne è uscita. Non c’è stata nemmeno una discussione nelle due commissioni congiunte di Montecitorio, nonostante i quattro testi presentati. E ad oggi l’iter legislativo di una legge sul fine vita, una fine non l’ha ancora raggiunta.
Nel 2016 per scrivere la legge si erano rimboccate le maniche tre donne, due deputate di Sinistra e Libertà e una fuoriuscita dal Movimento Cinque Stelle. In più c’era la legge d’iniziativa popolare presentata da “Eutanasia Legale”, ovvero il comitato messo in piedi dall’Associazione Luca Coscioni senza la quale il tema del fine vita non sarebbe entrato nemmeno nelle discussioni di un condominio.
Cresciuti alla scuola di Marco Pannella, all’Associazione Coscioni non lasciano mai nulla di intentato, il suo tesoriere Marco Cappato in testa. Seguendo quella filosofia antica e popolare: parlatene anche male, purché ne parliate. Ovvero: pure quando si perde la battaglia un risultato si è comunque ottenuto, mettere benzina sul fuoco del dibattito. E oggi il dibattito si è incendiato, almeno a giudicare dai numeri del Censis: il 74% degli italiani è favorevole al fatto che «quando una persona ha una malattia incurabile, e vive con gravi sofferenze fisiche, è giusto che i medici possano aiutarla a morire se il paziente lo richiede». In sintesi: sono favorevoli all’eutanasia.
LA DISOBBEDIENZA CIVILE
Il fine vita è il cuore delle battaglie dell’Associazione Coscioni, la disobbedienza civile il cuore delle loro pratiche non violente. Disobbedire alla legge in questo caso vuol dire assecondare il desiderio di morte di chi, martoriato dalla malattia, alla propria vita non riesce più a dare un significato. È stato fatto così con Piergiorgio Welby, una sedazione profonda e il distacco del respiratore. Era il 2006, dopo la morte sua moglie Mina ha partecipato attivamente alla
LA MORTE DI DJ FABO È DIVENTATA UN PROCESSO CHE HA PORTATO NEL 2019 ALLA SENTENZA CHE DETTA LE QUATTRO CONDIZIONI OGGI IMPRESCINDIBILI
battaglia per la legalizzazione del suicidio assistito.
Poi è arrivato Dj Fabo, Fabiano Antoniani: Cappato lo ha portato in Svizzera inaugurando il pellegrinaggio della “dolce morte”. Massimiliano e Elena, Romano e Paola, Sibilla Barbieri e Margherita Botto, una Spoonriver di una pena senza confini. La morte di Dj Fabo è diventata un processo che nel 2019 ha portato a una discussa sentenza della Corte Costituzionale. «Un passo avanti enorme. Una depenalizzazione, di fatto: io mi ero auto-accusato per avere accompagnato Dj Fabo in Svizzera a morire, rischiavo dodici anni di carcere. Quella sentenza è una sorta di legalizzazione del suicidio assistito», dice Marco Cappato, smentito in punta di diritto da Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati.
Dice infatti Lupi: «Le leggi le fa il Parlamento e non la Corte Costituzionale. Quella sentenza indica che c’è un vuoto legislativo e incita il Parlamento a fare la sua parte, ma non gli dice di fare una legge sull’eutanasia o una sul diritto al suicidio assistito, esorta invece a legiferare in un’area dove esiste un vuoto, stabilire il confine sull’accanimento terapeutico, decidere su quando e come si può porre fine ad una vita». Il Parlamento fino ad ora non ha fatto molto, nel 2022 ha approvato alla Camera una legge sul suicidio assistito firmata da Pd e M5s, mai discussa in Senato. C’è da dire, però, che nel 2017 ha dato il via libera al testamento biologico, una norma che riguarda ogni cittadino italiano, sano o malato, che sia maggiorenne e capace di intendere e di volere. Una rivoluzione etica passata quasi inosservata nel nostro Paese. E alla fine rimane la sentenza della Corte Costituzionale a dettare legge nelle more della legge.
I PRIMI: FEDERICO E ANNA
Ci ricordiamo Anna nel novembre dello scorso anno? È stata la prima in Italia morta con un suicidio assistito a carico del Servizio sanitario nazionale. Due anni prima Mario — il nome di fantasia con cui era indicato Federico Carboni,
che raccontò la propria storia in un video reso noto dopo la sua morte — aveva dovuto invece pagarselo il macchinario adatto all’auto-somministrazione del farmaco letale. C’è sempre lo stesso dottore dietro l’assistenza alla dolce morte, Mario Riccio. Sempre lo stesso legale a seguire i processi, Filomena Gallo. Sempre l’Associazione Coscioni a tirare le fila.
«Parlare di fine vita significa parlare di tutti noi. Significa, attraverso il testamento biologico, avere la possibilità di andare incontro ad una scelta consapevole e libera che ci permetta di decidere come sarà il momento della nostra fine». Emma Bonino ha la saggezza di chi di battaglie ne ha affrontate tante, sempre a mani nude. «Quando la guarigione non è più perseguibile e la sofferenza fisica e morale compromette talmente la qualità della vita da farci ritenere di non voler andare oltre, occorre che ognuno possa scegliere come vivere o morire». Emma Bonino sa bene come vanno le cose nel nostro Paese: «In Ita
IL PARLAMENTO NON HA FATTO MOLTO: NEL 2022 HA APPROVATO ALLA CAMERA UNA LEGGE CHE PERÒ NON È MAI STATA DISCUSSA IN SENATO
lia periodicamente si accenna ad un dibattito pubblico. Ma questo succede quasi sempre sull’onda emotiva di casi di cronaca eclatanti. Poi, ben presto, si spengono i riflettori e quel piccolo dibattito, quelle timide riflessioni svaniscono come non ci fossero mai state».
Maurizio Lupi al dibattito non si sottrae, ma prima di cominciare stabilisce il perimetro: «Quello che non mi va, seguendo la mia concezione di vita, è che una legge dello Stato possa porre come condizione che sia lo stesso Stato a toglierti la vita. È inaccettabile. Una legge che introduce il suicidio assistito fa intervenire nella legge il diritto allo scarto: tu sei alla fine, non servi più, ti togliamo di mezzo. Bisogna ricorrere alla cure palliative». Marco Cappato annuisce: «Sì, le cure palliative sono un’alternativa efficace. La morte non può e non deve essere una scorciatoia rispetto a persone che potrebbero essere curate. Il suicidio assistito non esclude certo le cure palliative e per capire basta guardare l’Olanda, il paese più all’avanguardia sul fine vita è anche il più specializzato al mondo per le cure palliative».
BOCCIATA PER UN VOTO
L’ultima frontiera delle battaglie per il fine vita sono le leggi regionali. L’Associazione Coscioni ha depositato leggi sul suicidio assistito in ogni regione. Ha fatto rumore quella discussa in Veneto appoggiata dal governatore leghista Luca Zaia. Si è spaccato il consiglio regionale e si è creato un caso all’interno del Pd, la legge non è passata per un solo voto, proprio quello di un consigliere democratico. Un caso si è creato anche in Emilia Romagna, il Comitato nazionale di bioetica ha contestato la delibera operativa della regione che ha dato indicazioni alle Aziende sanitarie sul suicidio assistito, bypassando il dibattito del consiglio. Nessuna regione ad oggi ha approvato la legge. «Leggi che ovviamente non avrebbero nessun poter di cambiare la platea degli aventi diritto. Ma potrebbero creare delle procedure e dei tempi certi», spiega Cappato prima di ammettere che sì, il primo obiettivo delle
proposte regionali è proprio quello di fare rumore.
E adesso? «All’inizio di questa legislatura Riccardo Magi, segretario di +Europa, ha depositato alla Camera una nuova proposta di legge. Spero che non sia ancora una presa in giro per le persone malate che soffrono ingiustamente», auspica Bonino, senza menzionare l’altra proposta di legge depositata in Senato da Alfredo Bazoli, Pd, che ricalca quella della legislatura precedente e marca una distanza sostanziale da quella di Magi: il trattamento di sostegno vitale. La Corte Costituzionale ha messo dei paletti per il suicidio assistito: una patologia irreversibile e fonte di sofferenze intollerabili. La capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. E poi, appunto, il sostegno vitale. Essere attaccati ad una macchina. Obietta Cappato: «Se una persona non ha un sostegno vitale ma ha un cancro terminale con poche settimane di vita che senso ha discriminarlo nell’accedere al suicidio assistito?». Una domanda. La prossima frontiera della battaglia.
L’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI HA DEPOSITATO TESTI IN TUTTE LE REGIONI. IN VENETO, APPOGGIATO DA ZAIA, NON È PASSATO PER UN SOLO VOTO