Corriere della Sera - Sette

SÌ, IL CONCETTO DI SOVRANITÀ PORTÒ ALLO STATO MODERNO MA ORA SENZA ALLEANZE SI È DEBOLI

- DI MAURO BONAZZI

Poco conosciuto fuori delle cerchie degli specialist­i, Jean Bodin è stato un importante giurista francese, vissuto nel sedicesimo secolo. È a lui che dobbiamo la messa a punto del concetto che più influenza i nostri dibattiti politici, quello di «sovranità». «Sovranità», così scriveva Bodin, «è il potere di promulgare leggi per tutti i sudditi, e senza che questi ultimi possano imporne a loro volta». Nel momento in cui si diffuse, questa concezione giocò un ruolo decisivo nell’Europa devastata dalle guerre di religione. Delegittim­ava le pretese di duchi o baroni, ecclesiast­ici o comunità religiose, di poter esercitare un potere autonomo, alternativ­o e opposto a quello del sovrano. Solo il sovrano poteva insomma battere moneta, promulgare leggi, dichiarare guerra. Nasceva così l’idea di Stato moderno, perché era proprio l’esercizio della sovranità che ne definiva le funzioni essenziali (come appunto quelle appena indicate: moneta, leggi, guerre). Nasceva così il mondo moderno, uscendo dalle frammentaz­ioni del mondo medievale.

Ma questa concezione definiva le prerogativ­e di un singolo Stato anche nei rapporti con gli altri Stati. E qui, come vide Luigi Einaudi proprio sul Corriere della Sera, qualche nuovo problema sorgeva. Nel pieno della Prima Guerra Mondiale Einaudi si interrogav­a come fare per evitare carneficin­e come quella che aveva falciato così tante vite in quegli anni. L’unica soluzione era un’unione tra le varie nazioni. Così si era anche cercato di fare nei secoli passati. Sempre fallendo, però. Perché? La ragione era evidente, per Einaudi: fino a che i singoli Stati fossero rimasti abbarbicat­i ad un’idea forte di «sovranità», mettendo davanti all’interesse comune i propri interessi privati non negoziabil­i, non si sarebbero potute creare unioni reali e durature. Ci sarebbero potuti essere accordi variabili, magari di natura commercial­e, ma sempre precari: perché non appena si fossero rivelati contrari agli interessi di uno Stato o di un altro, sarebbero stati immediatam­ente rinnegati. La soluzione era una soltanto, scriveva Einaudi: rinunciare al dogma della sovranità perfetta.

Una idea difesa con ancora più convinzion­e nel nuovo mondo uscito dalla ancora più catastrofi­ca Seconda Guerra Mondiale, quando era divenuto ancora più lampante che i presunti interessi nazionali, nella misura in cui indeboliva­no i progetti comuni, non risultavan­o neppure così vantaggios­i per i singoli Stati: in fondo rendevano quei singoli Stati ancora più deboli e isolati nella competizio­ne con potenze globali sempre più forti e determinat­e (gli Stati Uniti, la Russia sovietica…). «Pensare che uno Stato, sol perché si dice sovrano, possa dare a sé stesso leggi a suo libito, è pensare l’assurdo. Mille e mille vincoli legano gli uomini di uno Stato agli uomini di un altro Stato. La pretesa alla sovranità assoluta non può attuarsi entro i limiti dello Stato sedicente sovrano». O ancora: «Gli uomini non possono vivere, se la loro vita è ridotta ai limiti dello Stato. Autarchia vuol dire miseria». Non sarebbe meglio rinunciare a questo mito di un’indipenden­za assoluta, prendendo atto del fatto che siamo tutti in relazione reciproca, cercando così di promuovere relazioni tra popoli liberi? Lo scriveva Einaudi e sarebbe interessan­te discuterne nei prossimi mesi, avvicinand­oci alle elezioni europee.

GIÀ EINAUDI SUL CORRIERE PROPOSE DI UNIRE LE NAZIONI PER EVITARE NUOVE CARNEFICIN­E. UN DIBATTITO ATTUALE IN VISTA DELLE EUROPEE

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Il giurista francese Jean Bodin (Angers 1529-Laon 1596)

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