Corriere della Sera - Sette

I POVERI SINNER, I RICCHI BERLUSCONI GENITORI & FIGLI, QUALE MODELLO? FORSE È L’AMORE A CONTARE DAVVERO

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

Dicono tutti che prima o poi i semi daranno frutti. Che con i figli bisogna aver pazienza. Che l’educazione ricevuta in famiglia lascia tracce indelebili, per quanto nascoste esse possano apparire negli anni oscuri e turbolenti della gioventù. E naturalmen­te tutti noi, madri e padri, ci speriamo, e non molliamo, e continuiam­o a fare il nostro mestiere. Che, secondo un analista che conosco, consiste nel perdere le battaglie. Con stile. Con classe. Dopo averle combattute, però. Perché il mestiere dei figli è ribellarsi al modello dei genitori, e diventare così sé stessi.

Tutto giusto. Però poi leggi di Jannik Sinner. Un ragazzo che, a dispetto del cognome (in inglese vuol dire «peccatore»), non fa né dice una cosa sbagliata. Che se al ristorante trova troppo cara la pasta al ragù prende quella al pomodoro. Che considera un privilegio far colazione con i genitori e il suo primo pensiero va a loro dopo uno Slam vinto.

E ti dici: vedi che vuol dire essere persone modeste, laboriose, riservate? È quello che fa la differenza. Siglinde e Hanspeter, madre e padre di Jannik, facevano il cuoco e la cameriera in un rifugio in Val Fiscalina. Prima di avere lui hanno adottato un bambino russo, Mark. Hanspeter, che allenava la squadretta di calcio in cui giocava il figlio a 10 anni, una volta lo sostituì perché non la passava mai ai compagni. Per forza che il seme è fiorito! Poveri ma belli, ci viene da pensare.

E invece un’altra storia familiare di successo, non certo povera, mi ha istillato il sospetto che più della modestia conti l’amore.

Non sembri blasfemo il parallelo, ma di tutte le qualità che i suoi fan gli attribuiva­no (molte delle quali a me non parevano tali), ce n’è una che trovo oggi retrospett­ivamente davvero ammirevole in Silvio Berlusconi, ed è l’armonia da lui costruita tra i cinque figli, tra l’altro di due madri diverse.

Insomma: pare che non ci sia famiglia ricca, potente o famosa, in cui per i soldi non si siano già scannati o non si stiano ancora scannando tra parenti e affini. La vicenda dei discendent­i Agnelli sta oscurando quelle dell’eredità Caprotti o Del Vecchio, o le saghe testamenta­rie per il patrimonio di Alberto Sordi o di Luciano Pavarotti. Mentre invece i beni dell’uomo più ricco e a lungo più potente d’Italia sono stati divisi ordinatame­nte tra i figli in obbedienza alle disposizio­ni del padre, e se panni sporchi ci sono devono esserseli lavati ben bene in casa.

Si può pensare: il Cavaliere è stato bravo soprattutt­o ad architetta­re la succession­e, per far sì che non somigliass­e a Succession, la serie tv ispirata alla famiglia di un tycoon dei media che non è lui ma Rupert Murdoch. È stato bravo a proteggere le aziende, cosa che del resto ha fatto per tutta la vita, anche in politica. Ma è fuor di dubbio che in un tale successo educativo ci sia qualcosa di più. Qualcosa che ha a che fare con la cura dei figli, con il rispetto, con l’ascolto, con la fratellanz­a. Qualcosa che ognuno di noi vorrebbe lasciare dietro di sé: come unica, vera, grande eredità.

DUE SUCCESSI: PAPÀ CUOCO E MAMMA CAMERIERA HANNO TRASMESSO A YANNIK LA MODESTIA; IL CAVALIERE AI 5 EREDI L’ARMONIA E LA CURA

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