«BRAVA E ISTERICA» MA FUTURA SCRITTRICE I VERDETTI DEGLI ANALISTI E IL MIO DOLORE CHE NON HA RIMEDIO
Lei mi diceva: è una brava isterica; poi sorrideva – stava scherzando. Una volta disse: lo ero anch’io, almeno per la mia analista.
Così suggeriva una somiglianza fra noi. Eravamo complici.
Oppure capitava a chiunque andasse in analisi, di sentirsi dare dell’isterica, se era donna.
E su questo potevamo anche ridere insieme. Eravamo isteriche ma brave – due talentuose dell’isteria.
Avevamo altre cose in comune. Per esempio il nome. Si chiamava Rosa, ma la chiamavano Rosella. Perché era nata al Sud, come me, sebbene molti anni prima. Quando la incontrai, il mio primo anno a Roma, era già anziana. È stata la mia psicanalista.
Mi diceva: lei vuole tutto, Rosella. E io pensavo: che male c’è? L’ho capito tardi, che a voler tutto si rischia la pelle. Avevo 24 anni e mi pareva di non volere più niente. Non avevo fame, un lavoro, dei soldi. Mi fece credito per 5 anni. Disse che l’avrei pagata con l’anticipo del mio esordio, quasi sapesse con certezza che avrei scritto, che scrivere era il mio destino.
Mi diceva: il sintomo si sposta. Significa che non sparisce. Mai mi ha detto che sarei guarita, e nemmeno che non ero sana. Mi ha detto brava isterica, sorridendo complice. E che avrei dovuto scrivere, come desideravo fin da piccola. Era quello il mio modo di stare al mondo.
Poi l’ho lasciata. Ho cominciato una terapia cognitivo-comportamentale, perché io invece volevo guarire: salire sugli ascensori, prendere voli intercontinentali, scendere a patti con il precariato lavorativo, con la ferocia che era abitare, da poveri, una metropoli. Non guarivo, e mi sentivo colpevole. Dicevo al terapeuta che la psicoterapia aveva una pretesa normalizzante, omologante; che scaricava sui singoli le colpe di una società che costringeva alla performance, mentre schiacciava e immiseriva.
Leggendo un pezzo di Recalcati sulla caduta in disgrazia della psicanalisi nel nostro tempo, ho scoperto che il mio non era un delirio. Le due terapie implicano visioni molto diverse. Per i cognitivo-comportamentali l’individuo sano si adatta, è operativo, si identifica con il suo ruolo sociale. Per gli psicanalisti l’individuo è invece sempre attraversato da una mancanza, da un’inquietudine, è impossibile da guarire. Il sintomo è la sua obiezione alla felicità imposta dal sistema dei consumi.
Il sintomo, insomma, è la mia ribellione, la rivendicazione della mia complessità, della mia irriducibilità.
No che non sto tessendo le lodi di sintomi e fobie. Quanto vorrei prendere l’ascensore o volare in Messico senza paura. Ma so che nel mio dolore senza oggetto né rimedio a volte io trovo la forza – quando il miracolo si compie – di guardare me stessa e gli altri con occhi disarmati, persuasa solo, e senza rimpianto, di appartenere alla specie umana.
LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE SPINGE A ADATTARSI, PER LA PSICANALISI INVECE GUARIRE È IMPOSSIBILE