L’EPITAFFIO DI CARRIERI E LA NASCITA DI “LAPALISSIANO”
A proposito della poesia di Raffaele Carrieri pubblicata sulla newsletter dell’Ufficio: «Il silenzio non mi salva / la parola non mi aiuta / Muri aggiungo muri tolgo / Più mi scopro più mi nascondo». Scrive Pietro Brogi «nella mia testa sostituisco ‘nasconde’ con ‘asconde’, mi suona più armonico. Siamo sicuri che il testo originale non fosse proprio così?». Siamo sicuri, almeno nel recente volume Un doppio limpido zero (Internopoesia): è “nascondo”. Ma capita anche a me di modificare mentalmente le parole di un verso. Non però come Tramutoli (uno dei pochi poeti giocosi, scrisse Sebastiano Vassalli sul Corriere), che in Lazzi amari (Calebasse) si diverte così: «Se vuoi essere nuovo / puoi scegliere / tra essere nuovo sodo / nuovo fritto / o nuovo in camicia». Molti lazzi sono lapalissiani: «Che Matera sia bella / lo sanno anche i sassi». La «confusione che regna è sempre sovrana». E infine: «Lo stile perfetto / per un epifattio / è quello lapidario». A proposito di epitaffi, mi torna in mente l’episodio da cui sarebbe nato l’aggettivo “lapalissiano”, in riferimento a una frase ovvia. Si tratta della canzoncina per il maresciallo francese La Palice, sconfitto nella battaglia di Pavia del 1525: «Ahimè! La Palice è morto, / è morto davanti a Pavia; / Ahimè! se non fosse morto, / sarebbe ancora in vita». L’ultima riga forse era «farebbe ancora invidia» (“il feroit encore envie”), poi mutata in «sarebbe ancora in vita» (“il seroit encore en vie”) per somiglianze grafiche dell’epoca tra la “f” e la “s” e una consonanza in-discreta tra “envie”, invidia, ed “en vie”, in vita.
Dimesso l’affanno; quieto, distante, separato e infine perdonato da quelli che mi amarono. Questo mucchietto di cenere in mezzo alla foschia sono io; e l’erba che sopra vi cresce, ancora verde la mia poesia.