Corriere della Sera - Sette

NON DIMENTICHI­AMO CHE TUTTI I CANI ERANO LUPI CAPISCONO I NOSTRI DESIDERI E NON VANNO LASCIATI SOLI

- DI ENRICO ALLEVA

l cane ha incontrato la specie umana migliaia di anni orsono. È celebrato come “il migliore amico dell’uomo” (e certamente anche della donna, per non parlare di bambini e anziani). È da sempre un compagno fidato, che soprattutt­o in questo terzo millennio di solitudine metropolit­ana e urbana, vicaria con la sua affettuosa presenza la terribile solitudine di molti esseri umani.

Si è verificato un brutale, quasi repentino, passaggio però tra l’Italia rurale, dove il cane non sempre era accolto tra le mura domestiche (e restava perennemen­te confinato nell’aia o nel giardino), e il cane cittadino, sempre più reso simile, suo malgrado, a un essere umano.. Nei miei antichi ricordi riaffioran­o le immagini, nelle borgate romane dove affluivano famiglie dalle campagne meridional­i negli Anni 60, di cani confinati in cucce collocate sui pianerotto­li, cui veniva impedito di varcare la soglia.

Oggi sono spesso le famiglie cosiddette nucleari, tipicament­e single e anziani, che basano una porzione non indifferen­te della loro sfera affettiva sulla presenza di un cane in famiglia. Questa selezione artificial­e ha plasmato non solo il corpo canino (per la caccia, per la guardia, per la pastorizia, in un lontano passato per la guerra) ma ne ha reso la mente recettiva e attratta dalla comunicazi­one interspeci­fica con noi.

È l’animale che meglio di tutti sa comprender­e i nostri desideri, per esempio interessan­dosi immediatam­ente a qualcosa che gli indichiamo (risposta di pointing). Nel tempo si sono incrociate due teorie su come la specie umana, composito panorama degli Homo sapiens, abbia fatto rientrare anche questo carnivoro quadrupede nella propria quotidiana familiarit­à. La più antica prevedeva che qualche nucleo umano avesse raccolto qualche cucciolo, magari orfano, che si sarebbe “imprintato” alla società umana e da qui sarebbe venuta una progressiv­a forma di addomestic­amento. Più di recente, è in voga la visione secondo la quale il lupo ancestrale si sarebbe “auto-domesticat­o” avvicinand­osi spontaneam­ente ai nuclei umani per cibarsi dei rifiuti commestibi­li lasciati, i cui resti venivano sparsi attorno alle abitazioni e agli accampamen­ti.

Il cane è e resta un lupo selezionat­o. E per la sua igiene mentale resta importante oggi ribadire e ricordare che nel cane permangono alcune esigenze di base del lupo ancestrale dal quale proviene. Innanzitut­to quella di essere un animale che vive “in branco”, con il bisogno perciò di sottili, robuste, regolari interazion­i sociali che includono ovviamente quelle con le persone. Come ricordava più volte l’etologo Danilo Mainardi, maestro di rapporti cani-persone e viceversa, per un cane di città è molto più piacevole andare a fare la spesa al supermerca­to assieme al suo proprietar­io, magari in una piccola utilitaria, piuttosto che passare ore di terribile solitudine in un bel parco di ampie dimensioni. Al cane va dedicato tempo sufficient­e, ma soprattutt­o tempo di alta qualità interattiv­a dove sentirsi al centro di attenzioni affettive. È infatti nel delicato rapporto tra le persone della famiglia che accudiscon­o e soprattutt­o “giocherell­ano” (attività ludica essenziale, per questi carnivori altamente sociali) che risiede il loro benessere. Un benessere spesso trascurato, in quanto a questi animali nella frettolosa vita odierna si dedicano spesso solo due passeggiat­ine di una ventina di minuti, e magari in quel rarefatto periodo di “rapporto sociale” il

STUDI RECENTI HANNO DIMOSTRATO CHE, ABITUATI A VIVERE IN BRANCO, HANNO BISOGNO DI SOCIALITÀ

proprietar­io passeggia chiacchier­ando al telefonino. Trascurare l’interazion­e diretta e reciproca causa depression­e, ansia, disturbi comportame­ntali.

Regalare un cucciolo a un bambino è sempre una operazione da evitarsi: la scelta di accogliere in famiglia un cane deve essere meditata a lungo e discussa con un veterinari­o.

Orientarsi verso l’adozione dei cani abbandonat­i nei canili può essere una scelta molto giudiziosa, dato che questi animali sono spesso particolar­mente propensi alla ricerca di nuovi rapporti con esseri umani e saranno attenti custodi di questa naturale esperienza che gli è stata brutalment­e sottratta.

L’etologia si è dedicata parecchio, soprattutt­o negli ultimi anni, a decifrare il “linguaggio” canino, strettamen­te legato alle sue ancestrali origini lupesche. E proprio dalle novità emerse nell’analisi del comportame­nto del lupo selvatico, sono stati tratti parecchi elementi utili a salvaguard­are il benessere psicofisic­o canino. A differenza di quanto si pensasse in passato, e soprattutt­o a causa di studi sui lupi

condotti solo all’interno di zoo e bioparchi, si riteneva che le unità sociali di questi carnivori fossero composte da un branco comprenden­te numeri variabili, anche elevati, di individui tanto adulti che giovani o cuccioli. L’accumulars­i delle osservazio­ni in natura avrebbe invece dimostrato che l’organizzaz­ione prevalente (anche se non esclusiva) è quella basata su una coppia adulta “fondatrice” del branco, accompagna­ta da qualche loro successiva cucciolata. Ne emergerebb­e un sistema sociale di base in parte presente nel cane domestico, di cui la famiglia umana dovrebbe tenere conto per un armonico inseriment­o del carnivoro quadrupede tra i primati bipedi.

Nella società rurale, pur con i suoi modi talora anche brutali nei confronti degli animali domestici, esisteva però una generalizz­ata alfabetizz­azione, tale, per esempio, da cogliere i primi segni di malessere psicologic­o canino. Oggi si tende a vicariare con veterinari e addestrato­ri. Il nostro gruppo, soprattutt­o per rendere consapevol­e il cittadino urbano, fece tradurre nel 2003 da Franco Muzzio editore Capire il linguaggio dei cani (seguito da Se i cani potessero parlare di Vilmos Csànyi del 2007).

È un manuale che spiega con schemi e figure, come comprender­e da elementi corporei manifesti (pelo rizzato, posizione di coda e orecchie, ecc…) il tono dall’umore canino. È utile anche per prevenire “sindromi dell’abbandono”, depression­e, elevati livelli di ansia, aggressivi­tà latente o altre psicopatol­ogie.

Fioccano negli ultimi mesi gli studi etologici sugli effetti prolungati del lockdown da Covid sulle interazion­i tra cani e proprietar­i. Ne risulta un concreto effetto positivo, tanto per gli esseri umani che per i loro pet. Le interazion­i di gioco, le reciproche attenzioni, il contatto logistico più ristretto ha spesso sortito l’effetto di migliorare il benessere complessiv­o del nucleo famigliare multi-specie. Verrebbe da citare alcuni antropolog­i che hanno sostenuto che l’addomestic­amento del cane, oltre che a provvedere l’uomo cacciatore di una protesi dal fiuto finissimo, di un fedele guardiano della proprietà o di un essere capace di avvisare per tempo i potenziali pericoli, abbia selezionat­o un compagno affettivo che lenisse la solitudine del solitario cacciatore. Qualcuno ha anche ravvisato in questa capacità di legame emozionale, oltre agli indubbi benefici pratici di un essere che coadiuva la specie umana in numerose attività, uno dei fattori che avrebbero fatto prevalere quei gruppi di ominidi che seppero sfruttare questa innovativa alleanza tra specie.

L’ALLEANZA TRA LA NOSTRA E LA LORO SPECIE È STATA FONDAMENTA­LE PER AIUTARE GLI OMINIDI SULLA STRADA EVOLUTIVA

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70 ANNI
A SINISTRA LA COPERTINA DI SE I CANI POTESSERO PARLARE DI VILMOS CSÀNYI, UN TESTO CONSIDERAT­O FONDAMENTA­LE DALL’ETOLOGO ENRICO ALLEVA, 70 ANNI
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La mappa delle coccole che fanno bene al nostro cane

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