UN FILOSOFO ALL’ISTRUZIONE PER «IMPARARE A IMPARARE» LA POTENZA ACCADEMICA TEDESCA
Nel 1806, a Jena, la Prussia fu umiliata da Napoleone. Era una sconfitta militare, ma era anche la presa d’atto di una inadeguatezza di fronte a un presente che cambiava vorticosamente. La reazione immediata fu quella della riorganizzazione dell’esercito (la Prussia, come noto, sarebbe presto diventata una potenza di primo piano sullo scenario europeo). Contestualmente, però, fu anche avviata una riforma radicale di tutto il sistema scolastico. Bisognava essere pronti sui campi di battaglia, ma bisognava anche capire cosa stava succedendo – di sicuro non era meno urgente. A capo di quello che oggi chiameremmo ministero dell’Istruzione fu chiamato un filosofo, linguista, studioso del mondo antico, Wilhelm von Humboldt.
I problemi pratici e i problemi teorici non mancavano. Intanto bisognava aumentare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Humboldt si impegnò perché l’accesso alle scuole fosse garantito a tutti, indipendentemente da provenienza sociale e condizioni economiche delle famiglie. Per studiare cosa? Una richiesta diffusa, da parte della nascente borghesia cittadina, orientata verso le attività industriali o commerciali, era che si potenziassero gli istituti tecnico-pratici, dando priorità a competenze spendibili nella vita professionale. Erano richieste legittime. Ma inadeguate: Humboldt pose al centro di tutto il sistema lo studio del greco antico (insieme a matematica e storia). La scelta dipendeva dal fascino che il mondo antico stava esercitando in Germania (quelli sono gli anni di Goethe, Winckelmann, Hölderlin, Hegel…). Ma il punto decisivo era pedagogico, e consisteva nel rifiuto di un qualsivoglia approccio «utilitarista».
Il compito del sistema scolastico è quello di insegnare a considerare il sapere come un problema e non come un dato di fatto. Perciò era decisivo proteggere scuole e università da condizionamenti esterni, garantendone per quanto possibile l’autonomia. Una scuola che funzionava bene era insomma quella che aiutava lo studente a pensare in modo indipendente. L’obiettivo era quello di «imparare a imparare», perché quello era ciò che davvero serviva: imparare a pensare – non è che tutto quello che ci passa per il cervello (idee, suggestioni, opinioni) è sempre meritevole di attenzione – e imparare ad affrontare problemi inattesi, senza che altri ci impongano le soluzioni. Per questo, per fare ordine, ci vuole un metodo (da cui l’importanza dello studio del greco o della matematica: perché, grazie alla loro distanza dai bisogni reali della società, meglio di tutti insegnavano a impadronirsi di un metodo). Detto in un altro modo, la scuola non doveva formare uomini «unilaterali, capaci solo di copiare meccanicamente quello che altri prima di loro hanno compiuto», bensì individui consapevoli. Tutte belle parole?
Forse. Ma basta pensare a noi per comprendere che Humboldt era tutt’altro che ingenuo. Qualcuno ha idea di come sarà il mondo tra dieci anni? E allora, invece di preparare i ragazzi al mondo così come è ora, non è meglio investire sulla loro intelligenza per prepararli alle sfide del mondo che sarà? Grazie alle riforme di Humboldt, la Germania divenne presto «la» potenza accademica mondiale – un ruolo che perse solo con l’avvento dei nazisti (che distrussero tutti i principi di quel sistema).
VON HUMBOLDT AL MINISTERO CREÒ UN SISTEMA SCOLASTICO AUTONOMO E SENZA INTENTI «UTILITARISTICI». OBIETTIVO: CONSAPEVOLEZZA