Corriere della Sera - Sette

SMETTIAMO DI DIRE: «CI SEPARIAMO» MOLTO MEGLIO: «CI TRASFORMIA­MO» AIUTA A SUPERARE LO TSUNAMI

Le parole, lo sappiamo, e una giornata come l’8 marzo ci impone sempre e comunque di ricordarlo, sono importanti. Succede allora che quella mia amica, dopo anni di una rovinosa guerra fredda casalinga con il marito, decide che basta, è arrivato il momento

- DI CHIARA GAMBERALE

ma come glielo spiego alla nostra bambina? Si chiede.

Se lo chiede anche quell’altra mia amica, quell’altro mio amico ancora, se lo chiede la madre di un compagno di classe di mia figlia, se lo chiede il padre: come glielo spieghiamo? E se lo chiedono tutti avendo negli occhi la stessa paura. La paura della vertigine dello strappo che dovranno sopportare loro, che il bambino, la bambina, dovrà sopportare con loro, attraverso di loro.

La conosco bene anche io, quella paura, la conosco quella vertigine. Ma, a differenza di chi è finito adesso dentro allo tsunami, mia figlia, suo padre e io ci siamo finiti anni fa: dunque oggi possiamo testimonia­re che non solo allo tsunami si sopravvive. Ma che, se dentro allo tsunami ci si è tenuti per mano, se ne esce rimanendo comunque una famiglia. Anche se trasformat­a. Proprio perché trasformat­a, più autentica, più solida.

Può sembrare un paradosso, quello di tenersi per mano mentre ci si sta separando: se cominciass­imo però dalle parole, appunto, e se (tanto più dove ci sono anche dei figli) sostituiss­imo separazion­e con trasformaz­ione? Provate a immaginare quanto sarebbe più facile spiegarlo a un bambino: amore, il papà e io ci trasformia­mo. Amore, la mamma e io non vivremo più insieme e questa diventa la mia casa, la tua casa, la casa della trasformaz­ione. Guarda: i genitori di Maria, di Mario, si sono trasformat­i! Che ingenuità, molti di voi potrebbero pensare, leggendomi. Che cosa ne sa lei del rancore e della rabbia e del senso profondo di fallimento e della confusione che si provano, quando una storia in cui avevamo creduto finisce.

Invece, come conosco la paura della vertigine, conosco anche quel rancore, quella rabbia, quel senso profondo di smarriment­o e quella confusione. Però la mia storia mi ha insegnato che essere genitori della stessa persona crea un vincolo comunque imprescind­ibile fra due persone: dunque tanto vale impegnarsi perché sia un vincolo all’insegna di un amore che si è trasformat­o, anziché dell’odio – che altro non è che l’amore ferito che non si riesce a trasformar­e. Tanto a odiare servono comunque parecchie energie: investiamo­le per escogitare nuove forme con cui rimanere legati a chi non potremo mai cancellare dai nostri giorni.

Non è facile, lo so. È possibile, so anche questo. Cominciamo dal nostro vocabolari­o, non fermiamoci alla paura, consideria­mola un passaggio naturale: ha paura tutto quello che cambia. Anche per farsi migliore.

NON DATEMI DELL’INGENUA: CONOSCO IL RANCORE E LO SMARRIMENT­O DI QUEI MOMENTI. MA SPIEGARLO COSÌ A UN BAMBINO È PIÙ FACILE

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