DICK FOSBURY FLOP
CAMBIÒ IL SALTO IN ALTO CREANDO IL CHE PERÒ DIVENTÒ UN SUCCESSO
Il ragazzone alto 1,93 si presenta sulla pedana dello stadio Olimpico con due scarpine di diverso colore, apre e chiude le mani, forse un piccolo tic propiziatorio, e parte con una strana rincorsa laterale per il suo salto in alto, comincia a curvare un po’, poi vira verso l’asticella e s’innalza per saltare rivoltandosi sulla schiena e ricadendo giù sul tappetino. Qualcuno dice «come un pesce lesso» ma lui si porta a casa, nell’ Oregon, quel record di 2,24 metri saltati.
Siamo a Città del Messico, Olimpiadi del 1968 che rimarranno nella storia per due motivi: la protesta a pugno chiuso contro il razzismo dei campioni Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri, e la rivoluzione di Dick Fosbury che cambierà per sempre la tecnica del salto, seppellendo quello ventrale, diciamo di pancia, che fino ad allora aveva dominato. E che aveva creato, già a quei tempi, un piccolo scandalo mediatico.
A dir la verità, a pensare una soluzione diversa per superare l’asticella ci aveva provato già nel 1963 Bruce Quande nel Montana e poi una donna, la canadese Debbie Brill. Intuizioni che erano rimasti tentativi fino a che Dick Fosbury, saltatore con il pallino dell’ingegneria, non la impose e ne fece un brand. Da allora quel modo di saltare rappresentò davvero un’innovazione, un “salto di qualità” che si sarebbe chiamato per sempre il salto alla Fosbury. In America lo chiamavano anche Fosbury Flop, proprio perchè più che un salto esteticamente glorioso sembrava un afflosciarsi sull’asticella, ma in realtà l’avventura di Fosbury rappresentava piuttosto un ribaltamento dei canoni e del destino a suo favore, una capacità di pensiero laterale e di violazione persino delle leggi del proprio fisico: altro che fallimento, semmai fu un innovatore antesignano della capacità di rialzarsi e andare oltre. «Mi piaceva quella contraddizione» ha detto nel 2009 al Guardian «un flop che poteva diventare un successo».
La lunga marcia di Dick verso il suo riscatto era cominciata sui campi di scuola: lui, che oltre all’ingegneria amava lo sport, ci aveva provato con il calcio e con il basket; ma niente, con quel fisico alto e dinoccolato era sempre fuori canone. E con il metodo tradizionale, ventrale, saltava meno
degli altri. Finchè decide di unire le due passioni e applica la sua mente matematica al salto. Capisce che deve cambiare la posizione del corpo e dopo calcoli, tentativi, fallimenti e vittorie si presenta all’Olimpiade di Città del Messico. Non senza aver controllato ogni dettaglio, compreso quello di due scarpini diversi, perché aveva bisogno di maggior spinta dal piede di stacco: non quindi un vezzo estetico o contestatorio dei codici sportivi, ma il frutto di studi portati avanti, come tutto il resto, con la sua mentalità matematica.
Dal flop alla leggenda il passo non è stato breve, ma per quel campione di ostinazione e tenacia il successo è stato extralarge: tanto che l’attenzione che si era concentrata su di lui lo faceva sentire «esaurito mentalmente: la gente mi aveva messo su un piedistallo, ma io non volevo starci». Momenti che Giacomo Crosa, oggi giornalista ed ex primatista italiano del salto in alto, testimone di quella finale olimpica (in cui arrivò sesto), ha raccontato a Sergio Arcobelli del Giornale: «Dick era un artista, è la parola che più si avvicina al gesto che lo ha così reso popolare nel mondo. È stato come un grande pittore. La plasticità e la purezza di posizione del suo gesto sopra l’asticella era qualcosa, anzi è qualcosa, che nei saltatori di adesso non c’è».
Anche la nostra campionessa olimpica Sara Simeoni riconosce il tributo a Fosbury: «Ho adottato il suo stile e se sono riuscita a raggiungere i miei risultati è parecchio merito suo. Con il salto dorsale, ha dato l’opportunità a tutti di poter saltare misure che con il ventrale non avremmo potuto ottenere». Perché, ragiona Sara, lui ha lasciato libertà, fantasia nell’interpretare questo salto, cosa che con il ventrale non era possibile. «Perché dovevi per forza eseguirlo biomeccanicamente in un certo modo e diventava pure più pesante psicologicamente da allenare. Mentre il Fosbury era più vario e piacevole. Anche per questo ha fatto gioire tante persone».
Tutti, dopo, salteranno come lui e ahimè, meglio di lui, più in alto di lui. Favoriti gli altri dalla sua tecnica, penalizzato, lui, dal dilagare della sua tecnica e, di nuovo, dal suo corpo. Così Dick è tornato ai suoi studi e alla sua carriera di ingegnere. È morto a Portland il 12 marzo 2023.