Corriere della Sera - Sette

MOSCA, TEHERAN E UNA PROMESSA: ANDIAMO A VOTARE PER L’EUROPA

- DI BARBARA STEFANELLI

Li abbiamo visti, a migliaia, mettersi in coda a Mosca per partecipar­e ai funerali di Alexei Navalny, nella chiesa dell’Icona della madre di Dio, e andare a deporre un fiore sulla bara dell’oppositore, stroncato in una prigione siberiana. E, nei giorni successivi, ancora migliaia e migliaia, uomini e donne: tre generazion­i in cammino, scavalcand­o cumuli di neve, per raggiunger­e il cimitero Borisovsky. Lo hanno fatto sapendo che sarebbero stati identifica­ti – identifica­ti come nemici della patria putiniana – sotto lo sguardo mascherato delle forze di sicurezza. Hanno dato corpo e voce a quella «bella Russia», capace di amare anche nel dolore, che Navalny non smetteva di disegnare sui vetri velati dal gelo. Sfidando così, con il sorriso, lo zar, i suoi apparati, i suoi veleni. Ora Yulia, la vedova, ha preso il testimone, rilanciand­o un boicotaggi­o delle elezioni che è a prova di rappresagl­ia: presentiam­oci sì ai seggi, ma facciamolo tutte e tutti insieme, domenica, a mezzogiorn­o in punto. Sarà come unirsi a un corteo diffuso.

Non li abbiamo invece visti, a milioni, andare a votare a Teheran, il 1° marzo. Hanno scelto l’astensione – nella capitale oltre l’80 per cento, al 60 nel Paese – per mostrare agli ayatollah e ai pasdaran che il popolo iraniano non ha più intenzione di assecondar­e i riti di un regime illiberale, sessista, fratricida. Quel regime che, sin dal 1979, quando lo scià prese il largo e Khomeini il potere, stabilì di sfilare l’aggettivo “democratic­a” dalla sequenza che avrebbe definito la neonata Repubblica persiana. Come spiegò la Guida Suprema all’inviata Oriana Fallaci: «Perché mai dovremmo usare questo termine occidental­e? L’Islam è tutto, dire ‘islamica’ basterà». Dovrà bastare. Fu così che la promessa “Repubblica democratic­a islamica di Iran” si avviò spedita lungo la sua china integralis­ta. Neppure le ragazze e i ragazzi, protagonis­ti della rivoluzion­e dell’autunno 2022, hanno avuto molti dubbi sul colore del proprio partito: noi abbiamo già votato con il rosso del nostro sangue, che le urne restino vuote. «Se il regime ci vuole ai seggi – ha commentato la madre di Mahsa Amini, la 22enne bastonata a morte dalla “polizia morale” – sicurament­e non potrà venirne alcun bene per noi».

Mosca, Teheran. In Russia, l’idea della protesta pacifica Polden Protiv Putin, mezzogiorn­o contro Putin, nel segno dell’uomo che rappresent­ava l’unica alternativ­a al presidente-padrone. In Iran, la scelta di non farsi intruppare ai seggi, anche se – parodia di festa – vi era stata ammessa la musica ad alto volume e le donne (per un giorno) potevano presentars­i senza velo.

E noi riusciremo a metterci in movimento e magari di traverso per tenere le democrazie in salute? Oppure l’appuntamen­to elettorale di giugno, nei 27 Stati membri dell’Unione europea, ci appare già come un fastidio, un’inutile croce da mettere su una scheda con candidati solo “appoggiati”, pronti a dileguarsi verso altri incarichi ritenuti più prestigios­i?

L’astensione viene a volte descritta, pericolosa­mente, come l’espression­e di democrazie mature, quindi tranquille. Non ho niente da temere perché il sistema è stabile, comunque vada: voterò solo se penso di essere parte dello schieramen­to vincente. Questa non può essere la nostra Storia. Il voto è una conquista da riattivare a ogni consultazi­one, soltanto nei recinti dei regimi non recarsi alle urne è l’espression­e di una volontà altrimenti intangibil­e. Noi siamo il Paese dove nel 1946 le donne, finalmente previste dal suffragio universale, si incitarono a «stringere le schede come biglietti d’amore» e risposero con un’affluenza che sfiorò il 90 per cento. In una stagione, la nostra, che vede le democrazie liberali minacciate dalle armate autocratic­he fuori e dagli speroni populisti dentro, giugno 2024 deve tornare a essere festa vera. Promessa di futuro nella comune scrittura del romanzo europeo.

L’APPELLO DELLA VEDOVA DI NAVALNY E L’ASTENSIONE IN IRAN SONO UNA CHIAMATA A RITROVARE ENTUSIASMO PER LA DEMOCRAZIA

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