Corriere della Sera - Sette

«MAMMA IN CARCERE, IO A PARIGI SOLO ORA HO CAPITO LA SUA LOTTA»

Kiana Rahmai, 17 anni, figlia della premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, imprigiona­ta dal regime iraniano: «Non la vedo da 9 anni, ricordo la sua gentilezza»

- DI GRETA PRIVITERA

Sul palco del Nobel di Oslo, Kiana Rahmai, 17 anni, non riusciva a smettere di guardare la sedia vuota che l’Accademia ha voluto tra lei e il gemello, a rappresent­are l’assenza della madre, Narges Mohammadi, 51, attivista iraniana in carcere a Teheran e premio Nobel per la Pace. Quel simbolo così straziante, per Kiana e per il fratello Ali è tutt’altro che un’immagine iconica. Quella sedia vuota è la loro mamma che non c’è da nove anni, da quando, con il padre, sono scappati in esilio in Francia. «È stato come un pugno nello stomaco. Ero fiera di rappresent­are il suo coraggio, ma ero anche triste: doveva esserci lei su quel palco, è così ingiusto che sia in prigione».

Kiana ci risponde dalla sua cameretta di Parigi, non ha molto tempo perché deve finire di studiare. Durante la nostra conversazi­one, farà di tutto per assicurars­i che non confondiam­o l’eroica Narges Mohammadi con lei, la figlia adolescent­e che vive in Europa e che non ha intenzione di mettere davanti alla propria vita la lotta di un intero Paese, l’Iran. Non ha intenzione di essere arrestata dodici volte e condannata quattro, per un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate, come Mohammadi. «Sono la meno militante della famiglia, mio fratello lo è molto di più», dice. «Prima del Nobel non sapevo molto di diritti delle donne», continua. Non ha nessun imbarazzo ad ammettere la sua distanza dalla politica, perché se c’è una cosa che le ha insegnato sua madre è la difesa della libertà, e per Kiana essere libera vuol dire poter vivere una vita serena inseguendo i propri sogni, anche se sono molto diversi da quelli della sua coraggiosa e adorata mamma.

Che cosa sogni?

«Da grande vorrei aprire un ristorante, la ristorazio­ne, è la mia passione».

Da quando non senti tua madre?

«Sono due anni che non parliamo al telefono. Tramite gli zii, fino a due mesi fa, ricevevamo sue notizie, ora le hanno vietato ogni comunicazi­one. Ogni volta che fa uscire qualcosa dal carcere, un’intervista, un post sui social, aumentano la pena (in aprile, in Italia esce il suo libro, Più ci rinchiudon­o, più diventiamo forti, Mondadori)».

E non la vedete da nove anni.

«Non ci abbracciam­o da quando siamo venuti a Parigi. Anche mio padre è un attivista e anche lui è stato in carcere. Per farci vivere una vita più normale, i miei genitori hanno scelto di portarci qui».

Tua madre ha detto che non avervi visto crescere è un «dolore insopporta­bile e indescrivi­bile». Che mamma è?

«Mi ricordo la sua gentilezza. Con noi era sempre sorridente e generosa, era molto brava. Ci ha anche un po’ viziati. Posso dire di avere avuto un’infanzia felice. Ho dei bei ricordi con lei».

Il tuo preferito?

«Quando andavamo a trovare i nonni a Zanjan, nell nord-ovest dell’Iran. Mi ricordo i weekend e le vacanze insieme. Mi viene spesso in mente di un pomeriggio passato al parco: io e Ali volevamo comprare del mais da un venditore ambulante, lei ce ne ha presi due pacchi a testa. Non so perché quel momento mi è rimasto così impresso, forse perché eravamo felici». Quale è stato il momento della tua vita in cui ti è mancata di più?

«Durante l’adolescenz­a, quando il mio corpo ha iniziato a cambiare, e sono diventata una donna. Avrei voluto che fosse presente quando mi sono arrivate le mestruazio­ni. Avrei voluto condivider­e con lei i trucchi, le cose normali di una madre e una figlia». Quando hai avuto bisogno, hai parlato con tuo padre?

«No, sono timida. Ho imparato molte cose da sola, oppure tramite le amiche e le loro famiglie».

Hai mai provato rabbia per le scelte di tua madre?

«Non posso dire di essere arrabbiata, ma di sicuro sono stata spesso triste per la sua assenza. Non avevo ancora capito l’importanza della sua lotta. Ammetto che prima della consegna del Nobel non conoscevo così bene la battaglia per la libertà delle donne iraniane. Da quel momento me ne sono interessat­a anche io».

Senti che in qualche modo devi fare qualcosa per il tuo Paese?

«Sono nata in una famiglia di militanti, ma io non sono i miei genitori, porterò avanti la lotta per la libertà, ma lo farò di lato. Per ora, non mi sento come mia madre o le altre ragazze iraniane attiviste, mi sono appena avvicinata a certi temi».

Che cosa ricordi dell’Iran?

«La mia vera casa, perché è dove sono cresciuta, e la mia famiglia che mi manca terribilme­nte: qui non abbiamo nessuno. Però abbiamo trasformat­o degli amici in famiglia».

Qual è il ricordo peggiore che hai di Teheran?

«Quando arrestavan­o mia madre».

Eri presente mentre l’arrestavan­o?

«Una volta. Ero molto piccola, non so nemmeno quanti anni avessi precisamen­te. Mi ricordo che eravamo per strada e degli uomini sono scesi da una macchina nera e l’hanno portata via. Ho un altro brutto ricordo, ma ero già a Parigi. Un pomeriggio del 2014, quando sono tornata a casa da scuola, mi hanno detto che mamma era stata di nuovo portata in prigione. È stato uno shock, ho sofferto moltissimo. Eravamo lontani, avevamo paura per lei».

In Iran mettevi il velo?

«Sì, ma solo a scuola perché alle elementari fa parte dell’uniforme. Mi dava fastidio, soprattutt­o d’estate, faceva troppo caldo. Da piccola, quando vedevo le ragazze con il velo mi chiedevo chissà come sarebbe se potessimo scegliere. Io sono musulmana e non lo metto. Appena arrivata in Francia ricordo quanto mi avesse colpito vedere la libertà che c’è qui».

Se fossi ancora a Teheran andresti in giro a capo scoperto come fanno molte tue coetanee?

«Non credo, lo porterei male, magari. Lì arrestano, picchiano, uccidono, come hanno fatta con Mahsa Amini».

Pensi che avresti protestato con il movimento Donna, vita, libertà?

«Sì. Forse durante le proteste mi sarei tolta il velo». A volte vorresti che tua mamma fosse meno coraggiosa?

«No, io non voglio mai che smetta di fare quello che lei pensa sia giusto. Anche se vuol dire non indossare il velo per andare in ospedale rischiando di non essere curata (Mohammadi ha problemi cardiaci, ndr). È la sua lotta, è la sua vita, e io sto con lei».

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la Pace Nager Mohammadi, 51 anni, incarcerat­a dal regime iraniano dal maggio 2016, con Kiana piccola. Il 6 marzo, Giornata dei Giusti, una targa dedicata a Nager è stata scoperta nel Giardino dei Giusti di Milano al Parco Monte Stella alla presenza del marito
L’attivista iraniana premio Nobel per la Pace Nager Mohammadi, 51 anni, incarcerat­a dal regime iraniano dal maggio 2016, con Kiana piccola. Il 6 marzo, Giornata dei Giusti, una targa dedicata a Nager è stata scoperta nel Giardino dei Giusti di Milano al Parco Monte Stella alla presenza del marito
 ?? ?? La copertina di Più ci rinchiudon­o, più diventiamo forti, il libro di Narges Mohammadi in uscita in aprile per Mondadori. Nella pagina accanto la figlia, Kiana Rahmai, 17 anni, nel giorno della consegna del Nobel, il 10 dicembre 2023
La copertina di Più ci rinchiudon­o, più diventiamo forti, il libro di Narges Mohammadi in uscita in aprile per Mondadori. Nella pagina accanto la figlia, Kiana Rahmai, 17 anni, nel giorno della consegna del Nobel, il 10 dicembre 2023

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