Corriere della Sera - Sette

IMPARARE CAMBIANDO DIREZIONE CON LO SPIRITO DI LEGGEREZZA CHE UNISCE CALVINO E NIETZSCHE

- DI MAURO BONAZZI

Nel 1957 Italo Calvino salì su un albero. Era l’anno di pubblicazi­one del Barone rampante, in cui si raccontava­no le avventure del barone Cosimo Piovasco di Rondò: rifiutando l’autoritari­smo del padre aveva deciso di andare a vivere sugli alberi. La decisione di Cosimo correva in parallelo al disincanto di Calvino stesso rispetto ai fatti d’Ungheria dell’anno prima: non solo l’invasione sovietica di un Paese che doveva essere amico, ma anche la difesa da parte del Partito Comunista Italiano di quella invasione. Qualcosa non tornava, e anche Calvino aveva deciso di fare un passo indietro. Non si trattava di proclamare ai quattro venti la propria indignazio­ne. Prima si doveva capire – o almeno cercare di fare un po’ di chiarezza.

Non è diverso da quello che Friedrich Nietzsche ha fatto per tutta la vita. È la filosofia del viandante, la convinzion­e che senza allontanar­si, continuand­o a spostarsi, difficilme­nte si potrà comprender­e cosa succede intorno a noi: «si deve fare come il viandante che vuol sapere quanto sono alte le torri di una città: egli abbandona la città per questo». Non è semplice, ma è necessario. Non è semplice, perché bisogna lasciar cadere le proprie certezze, i punti di riferiment­o con cui leggiamo la realtà. Ci si può sempre perdere e si possono perdere i compagni di viaggio, mal disposti verso chi solleva dubbi e non si allinea. Del resto, ci vuole anche coraggio per ammettere che forse si sta sbagliando, o che comunque non abbiamo del tutto ragione. Ma è necessario, perché diversamen­te ci imprigioni­amo da soli in convinzion­i che diventano pregiudizi: che impediscon­o di considerar­e altri punti di vista e che per questo finiranno per impoverire il nostro sguardo sulle cose. Come diceva Socrate, iniziamo a cercare solo quando abbiamo ammesso che non sappiamo.

Calvino e Nietzsche furono due scrittori molto diversi tra di loro. Ma curiosamen­te suggerivan­o la stessa ricetta per affrontare questa sfida. «È in sostanza», scrive Nietzsche, «il problema di quanto siamo leggeri o pesanti, il problema del nostro “peso specifico”. Si deve essere molto leggeri per spingere la propria volontà di conoscenza fino a una tale lontananza». È la stessa virtù che Calvino avrebbe voluto portare con sé nel ventunesim­o secolo. Lo scrive nelle Lezioni americane, la sua ultima opera: lo spirito della leggerezza, l’arte di non prendere sempre tutto sul serio, per evitare di legarsi troppo alle proprie opinioni. È un modo per guadagnare in precisione (è la leggerezza dell’uccello, non della piuma, scrive Calvino citando un poeta francese, Paul Valéry), preparando­si alla sfida del labirinto. Perché la realtà in cui ci muoviamo è sempre più un labirinto e nei labirinti si sbaglia spesso strada. Capita e non è una tragedia, in fondo, visto che non siamo perfetti. Basta ripartire subito, prendendo in consideraz­ione altre opzioni. Cambiando direzione, insomma: e qualcosa s’impara sempre. «Capisco tante cose che prima non capivo, guardandol­e da una prospettiv­a meno immediata».

VIVERE SUGLI ALBERI COME IL BARONE DELLO SCRITTORE O ALLONTANAR­SI COME IL VIANDANTE DEL FILOSOFO APRE NUOVE (E PIÙ LUNGHE) PROSPETTIV­E

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Lo scrittore Italo Calvino (L’Avana 1923-Siena 1985)

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