Corriere della Sera - Sette

IL PRINCIPIO DI INDETERMIN­AZIONE È PIOMBATO SUL CALCIO ARBITRI IN FUGA DALLE RESPONSABI­LITÀ

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

La tempesta che sta travolgend­o gli arbitri di Serie A ci rivela qualcosa che va ben oltre il calcio. Da quando è arrivata la Var, e cioè la tecnologia che consente di cambiare una decisione di campo se sbagliata, la classe arbitrale è stata illusa di poter arrivare alla perfezione. Che esista cioè una verità assoluta, oggettiva, inconfutab­ile, raggiungib­ile attraverso le mille telecamere che riprendono ogni azione. Mentre invece la realtà è solo percezione, come ben sanno i fisici quantistic­i, quelli che maneggiano la scienza più esatta di cui disponiamo per comprender­e come funziona la materia. Il “principio di indetermin­azione” di Heisenberg, che ha letteralme­nte rivoluzion­ato la fisica, dice infatti che non si possono misurare con precisione e contempora­neamente la posizione e la quantità di moto di una particella elementare: «Le leggi naturali non conducono a una completa determinaz­ione di ciò che accade nello spazio e nel tempo… è piuttosto rimesso al gioco del caso».

Questo vuol dire che quando due corpi in carne e ossa si scontrano, mettiamo quello di un portiere in uscita e quello di un attaccante in corsa, non si può determinar­e chi dei due abbia investito l’altro. Oppure, se un piede colpisce il pallone e contempora­neamente il piede dell’avversario, che sta colpendo lo stesso pallone, non si può dire se viene prima l’uovo o la gallina. Per cui la certezza promessa dalla tecnologia rimane incertezza. Alla fine, ci vuole sempre un occhio umano e un fischietto in bocca per decidere. Di solito scontentan­do mezza Italia.

Più o meno come prima, direte voi. Eh no! Perché nel frattempo l’idolatria della Var ha prodotto due fenomeni tipici del nostro sistema giudiziari­o. Il primo è la “presunzion­e di colpevolez­za”. Poiché ora si pretende a tutti i costi una verità, si cerca l’irregolari­tà anche laddove in apparenza non c’è. Alla mia squadra del cuore, l’Inter, è stato per esempio “donato” un rigore per un fallo di cui nessuno si era accorto dal vivo (perché tutti ritenevano il gioco fermo in quel momento). Il calcio si adegua così al motto: fiat iustitia et pereat mundus. Per fare giustizia, si può far danno alla verità.

Il secondo fenomeno è l’”oracolo mediatico”. E cioè l’ex arbitro che parla ex cathedra dall’emittente tv che sta trasmetten­do la partita, e che viene ascoltato in diretta anche da chi in sala Var sta in quel momento prendendo una decisione, influenzan­dola. Perché i media fanno paura anche agli arbitri, e dunque è sempre meglio mettersi in scia.

La fuga dalla responsabi­lità, male del nostro tempo che vediamo diffonders­i in ogni campo del vivere comune, nel caso del calcio è arrivata a tal punto che il selezionat­ore degli arbitri l’ha teorizzata, invitandol­i pubblicame­nte a non cedere alla tentazione di decidere, di fischiare, di alzare una bandierina, e ad aspettare invece che l’azione finisca. Così poi si lascia la scelta finale alla tecnologia, e non si corre il rischio umano, troppo umano, di sbagliare. Ha aggiunto che questo, nel calcio di oggi, si chiama «coraggio».

LA VAR HA CREATO DUE FENOMENI: LA PRESUNZION­E DI COLPEVOLEZ­ZA E GLI ORACOLI MEDIATICI. VALGONO ANCHE FUORI DAL CAMPO

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