IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE È PIOMBATO SUL CALCIO ARBITRI IN FUGA DALLE RESPONSABILITÀ
La tempesta che sta travolgendo gli arbitri di Serie A ci rivela qualcosa che va ben oltre il calcio. Da quando è arrivata la Var, e cioè la tecnologia che consente di cambiare una decisione di campo se sbagliata, la classe arbitrale è stata illusa di poter arrivare alla perfezione. Che esista cioè una verità assoluta, oggettiva, inconfutabile, raggiungibile attraverso le mille telecamere che riprendono ogni azione. Mentre invece la realtà è solo percezione, come ben sanno i fisici quantistici, quelli che maneggiano la scienza più esatta di cui disponiamo per comprendere come funziona la materia. Il “principio di indeterminazione” di Heisenberg, che ha letteralmente rivoluzionato la fisica, dice infatti che non si possono misurare con precisione e contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella elementare: «Le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo… è piuttosto rimesso al gioco del caso».
Questo vuol dire che quando due corpi in carne e ossa si scontrano, mettiamo quello di un portiere in uscita e quello di un attaccante in corsa, non si può determinare chi dei due abbia investito l’altro. Oppure, se un piede colpisce il pallone e contemporaneamente il piede dell’avversario, che sta colpendo lo stesso pallone, non si può dire se viene prima l’uovo o la gallina. Per cui la certezza promessa dalla tecnologia rimane incertezza. Alla fine, ci vuole sempre un occhio umano e un fischietto in bocca per decidere. Di solito scontentando mezza Italia.
Più o meno come prima, direte voi. Eh no! Perché nel frattempo l’idolatria della Var ha prodotto due fenomeni tipici del nostro sistema giudiziario. Il primo è la “presunzione di colpevolezza”. Poiché ora si pretende a tutti i costi una verità, si cerca l’irregolarità anche laddove in apparenza non c’è. Alla mia squadra del cuore, l’Inter, è stato per esempio “donato” un rigore per un fallo di cui nessuno si era accorto dal vivo (perché tutti ritenevano il gioco fermo in quel momento). Il calcio si adegua così al motto: fiat iustitia et pereat mundus. Per fare giustizia, si può far danno alla verità.
Il secondo fenomeno è l’”oracolo mediatico”. E cioè l’ex arbitro che parla ex cathedra dall’emittente tv che sta trasmettendo la partita, e che viene ascoltato in diretta anche da chi in sala Var sta in quel momento prendendo una decisione, influenzandola. Perché i media fanno paura anche agli arbitri, e dunque è sempre meglio mettersi in scia.
La fuga dalla responsabilità, male del nostro tempo che vediamo diffondersi in ogni campo del vivere comune, nel caso del calcio è arrivata a tal punto che il selezionatore degli arbitri l’ha teorizzata, invitandoli pubblicamente a non cedere alla tentazione di decidere, di fischiare, di alzare una bandierina, e ad aspettare invece che l’azione finisca. Così poi si lascia la scelta finale alla tecnologia, e non si corre il rischio umano, troppo umano, di sbagliare. Ha aggiunto che questo, nel calcio di oggi, si chiama «coraggio».
LA VAR HA CREATO DUE FENOMENI: LA PRESUNZIONE DI COLPEVOLEZZA E GLI ORACOLI MEDIATICI. VALGONO ANCHE FUORI DAL CAMPO