«PER PIACERE AGLI ALTRI RINUNCIO A ME» IL DIKTAT DELL’IO PERFORMANTE A CUI ABBIAMO IL DOVERE DI RIBELLARCI
«È giusto andare contro la propria natura per piacere agli altri?».
Mia figlia, 8 anni, mi ha posto questa domanda. E io sono trasecolata. Con urgenza, quasi con rabbia, le ho risposto: «No, è la cosa più ingiusta che si possa fare. Non devi mai tradire te stessa: quello che piace a te, i tuoi pensieri. Tanto più che puoi essere amata solo per chi sei. Altrimenti amerebbero una finzione al tuo posto».
Nei giorni seguenti le domande, le mie, si sono moltiplicate: da dove viene quest’ansia di consenso? La paura precocissima di non essere accettati? Di essere diversi? La mia rabbia iniziale non è scemata: non ci si può porre un problema del genere da bambini e, in generale, sarebbe meglio non sentirsi mai attanagliati dall’affanno di piacere. A me, prima dell’adolescenza, non sarebbe potuto accadere, non in termini così feroci. Eppure la società in cui sono cresciuta era molto meno variegata rispetto a quella di mia figlia che, in ogni realtà che frequenta, è educata ai valori della diversità e dell’inclusione. Quindi da dove viene quella domanda? Cosa è successo tra il 1992, quando 8 anni ce li avevo io, e il 2024?
Che è esploso, credo, con i nuovi media e l’ingordigia del mercato, un imperativo all’omologazione, alla performance e al consenso che durante la mia infanzia non era così pervasivo. Un imperativo che l’educazione e la cultura non sono riusciti a frenare. Era più chiaro, nel discorso pubblico degli anni Novanta, che sbagliare non costituiva un problema ma, anzi, era parte sana e inevitabile dell’apprendimento. Le stesse cose che hanno insegnato a me a scuola le insegnano anche a mia figlia oggi: la curiosità verso l’altro, la bellezza di un mondo in cui siamo tutti differenti e per questo ci possiamo vicendevolmente nutrire. Non è nei luoghi di cultura – cartoni al cinema, spettacoli nei teatri, libri – che sono peggiorati i messaggi. Ma da altrove spira un’aria diversa. Dai social, dai talent, dai grandi media si è amplificata l’idea perversa che si vale solo se si macinano numeri, se si appare in un certo modo. E questa idea ha raggiunto, fatalmente, anche i più piccoli. È l’io performante, sempre sotto giudizio. L’io che deve rispondere costantemente a un pubblico. L’io sotto il riflettore, e intorno il vuoto. L’io recintante per forza. L’io solo. Così triste che alla fine esplode, o implode, esprimendo quel malessere che ci stanno gridando gli adolescenti e, addirittura, i bambini.
Sta a noi adulti curare questa società malata. Sgombrare il campo con chiarezza: tutte, tutti, hanno una passione da coltivare. Tutte, tutti, meritano amore e attenzione per le persone irripetibili che sono. Non è prendere 10, e degli altri chi se ne frega, l’importante. È importante il contrario: che nessuno resti indietro. Non l’io isolato che deve piacere, ma il noi che deve accogliere: coeso, polifonico, sempre aperto all’incontro.
MIA FIGLIA MI HA CHIESTO SE, IN NOME DEL CONSENSO, ERA GIUSTO ANDARE CONTRO SÉ STESSA. STA A NOI ADULTI CURARE QUESTA SOCIETÀ MALATA