OPPENHEIMER E LA PAURA ATOMICA CHE AVEVAMO ARCHIVIATO
La notte degli Oscar, nelle edizioni più riuscite, non premia soltanto un film di qualità superiore. Intuisce anche il valore che una storia, tra tante, esprimerà una volta giù dal palco e fuori dalle sale. In questo 2024, tormentato da due guerre in corso e dalla fragilità delle alleanze ereditate dal Novecento, è toccato a Oppenheimer, la pellicola di Christopher Nolan vincitrice di 7 statuette su 13 nomination. Soltanto l’esibizione rosa shocking di Ryan Gosling-sono-solo-Ken (I’m Just Ken) ha tenuto acceso un ultimo riflettore sulla marcia di Barbie, che pure sembrava custodire un segno dei tempi e chiamare riconoscimenti.
Il regista inglese ci porta nel Monopoli delle armi nucleari, vicolo Stretto, dentro i laboratori di Los Alamos durante il secondo conflitto mondiale: ci mette davanti all’origine di tutto e ci avverte di quanto sia (ancora) sottile il velo che ci separa dall’escalation. Tra le righe della biografia di J. Robert Oppenheimer, 1904-1967, Nolan sembra domandare a noi spettatori quale sia il finale che stiamo immaginando. Perché la verità è che abbiamo ricominciato a immaginarlo, quel finale, o almeno a (ri)pensarci. La minaccia che “la creatura” del fisico americano introdusse nella Storia dell’umanità era e resta una minaccia esistenziale: in una guerra atomica non ci sarebbero vincitori, soltanto sconfitti nomadi nei deserti del dayafter. In passato, ce lo siamo sentiti ripetere così spesso da non farci quasi più caso, un po’ come capita con le istruzioni per le mascherine dell’ossigeno sugli aerei. Semplicemente, avevamo smesso di avere paura. La Bomba ci pareva un fantasma da Muro di Berlino, che le potenze nemiche erano comunque riuscite a imbrigliare in nome di una salvaguardia reciproca.
Poi qualcosa si è rotto. Quei sistemi simmetrici di deterrenza sono improvvisamente sembrati inaffidabili, inadatti al disordine mondiale.
È probabilmente per questo senso di spaesamento (e di allarme) che il New York Times ha deciso di inaugurare una serie di editoriali intitolata At the Brink, sul baratro, dedicata alla «minaccia delle armi nucleari in un mondo instabile». Nell’introduzione, Kathleen Kingsbury ammette che gli Stati con l’atomica sono diventati “più numerosi e più incauti”. E denuncia la follia di aver «condannato un’altra generazione a vivere su un pianeta a rischio di catastrofe anche solo per un errore umano o un atto di arroganza». Il primo pensiero va all’Ucraina, alle minacce di Vladimir Putin: «Siamo tecnicamente pronti a usare le armi di cui disponiamo», ha detto dieci giorni fa, chiamando nel frattempo il popolo russo a dar prova di patriottismo alle urne. Il secondo e terzo pensiero puntano invece a Oriente: all’Iran ormai nell’orbita di Mosca-Pyongyang-Pechino e alla stessa Cina che accumula testate a migliaia.
Si è aperta una stagione così slabbrata, e inquietante, che potenze finora lontanissime dall’idea di dotarsi di un proprio scudo – Germania, Corea del Sud, Arabia Saudita – hanno cominciato a interrogarsi. Guardando ai vicini e soprattutto ai meccanismi di una proliferazione che, accompagnata dall’intelligenza artificiale e montata su missili ipersonici, moltiplica il pericolo di computer in grado di combattere saltando il controllo umano.
È qui che rientra in scena Oppenheimer, versione Cillian Murphy, e lo scenario evocato di «una reazione a catena che distruggerebbe il mondo stesso» con cui il film si chiude. Il glamour di Hollywood – che esalta la capacità del cinema di toccare il cuore globale – potrebbe risospingere il dossier sui tavoli della conversazione quotidiana. E un’opinione pubblica rimotivata, com’è stata dagli anni Sessanta fino all’inizio dei Novanta, avrebbe poi il compito di premere su governi e istituzioni affinché venga ritentata la via dei trattati – o almeno degli accordi informali – con interlocutori mutati o inediti. Via incerta, molto più del tracciato da Guerra Fredda dei check-point contrapposti.
IL FILM DI NOLAN TORNA A FARCI RIFLETTERE SULLE ARMI NUCLEARI NELLO SCENARIO (PERICOLOSO) DEL NUOVO DISORDINE MONDIALE