ABRUZZO & PORTOGALLO IL VENTO NON È CAMBIATO LA DESTRA È PIÙ FORTE
Cara Lilli, metà degli elettori non si reca più alle urne; è un problema che non si dovrebbe sottovalutare
quale è stato il suo punto di forza di Marco Marsilio?
Pd e 5 Stelle hanno gioito troppo in fretta «del campo largo»?
Cari lettori, l ’Abruzzo è stato una prova di forza di Giorgia Meloni. La strategia dell’elmetto l’ha premiata. A differenza di quanto successo in Sardegna, nazionalizzare una contesa regionale è stato vincente. «Sono stata eletta qui, sarebbe brutto se mi cacciate!», è arrivata a dire in un comizio a Teramo, caricando così il valore politico del voto. Ottenuta la vittoria, può andare all’incasso. Tiene il suo fortino, quell’Abruzzo dove con la prima elezione di Marsilio, nel 2019, iniziò l’ascesa di Fdi, e rafforza la sua posizione di dominus nella maggioranza. Tutto bene, quindi? Non esattamente. Fratelli d’Italia registra una flessione di oltre tre punti e la vittoria, fino almeno al voto in Sardegna, era data per più che sicura con margini larghissimi.
L’incertezza sugli umori dell’elettorato ha costretto Meloni a scendere in campo in prima persona, assieme ai leader della coalizione e ai ministri. Segno che nella politica italiana torna a esserci partita, anche se credo che la luna di miele tra governo e Paese resisterà almeno fino alle europee. Del resto, tutto quello che viene deciso in questi mesi ha precisi fini elettorali. È da questi segnali che il centrosinistra dovrebbe ripartire. Ci si era illusi che l’aria nuova portata da Alessandra Todde fosse l’abbrivio di un vento del cambiamento destinato a salire. L’amaro in bocca della sconfitta è dovuto pure all’aver alzato l’asticella fino al sogno della vittoria. Il vento non è cambiato, la destra è forte, in Italia e in Europa, come dimostra il voto portoghese. Il centrosinistra però ha trovato una strada, un metodo e forse un orizzonte. Dovrebbe intanto lasciare all’accademia le dispute teologiche sul campo largo-stretto-giusto-lungo, che andrebbe ormai dato per scontato. Innanzitutto, per una semplice questione matematica, che ha evidenziato con grande chiarezza la segretaria del Pd Elly Schlein: «Uniti si vince o si perde, divisi non si gioca nemmeno la partita». L’alleanza delle opposizioni è quindi una condizione. Necessaria, ma non sufficiente. Forse più che sull’ampiezza del campo, bisognerebbe concentrarsi sull’unità. Si dice che soprattutto il Movimento 5 stelle soffra l’intesa e che converrebbe marcare le differenze per non perdere porzioni di elettorato. Una specie di «marciare divisi per colpire uniti». I compromessi politici comportano sempre qualche sacrificio.
Eppure, il problema per le opposizioni sembra piuttosto il contrario. Nel «campo largo» le varie forze sembrano stare una accanto all’altra, ben attente però a tenersi a debita distanza. Difficile così trasmettere il senso di un’area politica coesa, seppur declinata secondo sensibilità legittimamente diverse. Non si capisce allora perché i votanti dovrebbero credere alla coalizione più di quanto ci credano i partiti che la compongono. Forse è arrivato il momento di dare all’alleanza un nucleo programmatico comune oltre che un’idea di squadra. Qualcosa di un po’ più ambizioso della convergenza su alcune battaglie: lo straccio di un’idea alternativa di Italia. In questo modo si potrebbe riuscire nel miracolo, se non di mobilitare masse, almeno di scuotere qualcuno dal pericoloso torpore dell’astensione.
FORSE PD E M5S DOVREBBERO CONCENTRARSI PIÙ SU UN’IDEA ALTERNATIVA DI ITALIA CHE SULL’AMPIEZZA DEL CAMPO