CONTRO I MILITARI E IL COLONIALISMO L’AFROBEAT DI FELA KUTI
Il sassofonista che nel 1969 creò un ritmo musicale unico, capace di portare la voce della protesta dalla Nigeria a New York («La musica deve farti ballare e pensare»), al centro di un documentario di Daniele Vicari
Roma, primi Anni ’80. Siamo nel pieno dell’Estate Romana dell’assessore Renato Nicolini e un filmaker e videoartista, Michele Avantario, riesce nell’impresa di portare il sassofonista e compositore Fela Kuti, già allora protagonista dello stile musicale africano noto come afrobeat, da Lagos, in Nigeria, alle piazze della Capitale. Tempi in cui un tour si decideva ancora con una stretta di mano. Non esattamente un gioco da ragazzi: per gli appassionati il sassofonista e cantante Fela Anikulapo Kuti era diventato un astro alla pari di Miles Davis e John Coltrane e la sua musica si ascoltava dalle discoteche di New York ai circoli jazz parigini e londinesi.
QUELL’AMICO ITALIANO
Ma Avantario, tenace, riesce nell’impresa e ne diventa amico. In occasione di un secondo tour a Milano nel 1987 i due decidono di girare un film insieme: s’intitolerà Black President e nelle intenzioni di Michele diventerà l’opera che racconterà vita e imprese politiche dell’artista nigeriano in chiave di fiction. Questo l’antefatto di Fela. Il mio Dio vivente, nuovo lavoro del regista Daniele Vicari (La nave dolce, Diaz, Orlando): il film, prodotto da Fabrique Entertainment e Luce Cinecittà con Rai Cinema, è da ieri nelle sale. Il progetto di Aventario resta invece incompiuto ma non vanno perdute le decine di ore di girato che attraversano gli Anni ’80 e ’90. Materiale inedito che permette di ricostruire non solo le esibizioni del Black President (questo uno dei soprannomi più popolari di Kuti) e la sua vita privata ma anche il suo essere in prima fila contro le giunte militari che governavano il Paese africano, fino all’incarcerazione fra l’84 e l’86.