IL SURF, I SOLDI E QUELL’OMICIDIO LA VITA DA FILM DI CHICO FORTI
Ha inventato il salto mortale all’indietro sulla tavola, vinto un quiz di Mike Bongiorno e si è trasferito negli Stati Uniti per fare l’imprenditore. Poi il delitto, la condanna all’ergastolo e il ritorno in Italia. Da anni parenti, amici, artisti (come A
Andrea Bocelli non ha avuto dubbi: «Stare dalla parte di Chico Forti è un vero obbligo morale»; alla notizia del trasferimento in Italia sua moglie Veronica, andata con lui a trovarlo in carcere a Miami, era al settimo cielo: «Al punto che il cuore mi scoppia di gioia»; Enrico Ruggeri, sempre al suo fianco tanto da dedicargli la canzone L’America, parla di esempio: «Ha vissuto un incubo trovando la forza di cercare aspetti positivi e questo è un insegnamento importante»; per non parlare di Jo Squillo, già protagonista di uno sciopero della fame, con gli occhi umidi e l’ugola calda: «Grande vittoria! Hanno firmato! Hanno firmato! Chico torna!».
E poi il comitato degli amici, i parenti e i politici, da Luigi Di Maio che nel 2020 da ministro degli Esteri aveva annunciato con entusiasmo ma prematuramente il rimpatrio, a Giorgia Meloni, che lo scorso primo marzo si è presentata all’incontro con il Presidente Joe Biden mettendo in agenda anche il suo nome, per poi comunicare la lieta novella al mondo: «Sono contenta di annunciare che dopo 24 anni di detenzione negli Stati Uniti è stata firmata l’autorizzazione al trasferimento in Italia di Chico Forti».
Presidenti, governi, star della musica. Un grande, trasversale seguito. Tutti con Enrico Forti detto Chico, un ex campione di windsurf originario di Trento balzato agi onori della cronaca 26 anni fa per un fatto di sangue: il delitto del businessman australiano Dale Pike, ucciso con una calibro 22 il 15 febbraio del 1998 in una spiaggia di Miami.
Cosa c’è, dunque, dietro il sorprendente affetto che circonda quest’uomo oggi sessantacinquenne, condannato all’ergastolo in Florida per quell’omicidio? “Life
without parole”, aveva stabilito la Corte di giustizia come formula della sua pena, cioè senza possibilità di uscire dal carcere per il resto dei suoi giorni. E, dunque, delle due l’una: o la polizia e i giudici americani hanno preso un granchio colossale o l’abbaglio è di tutti coloro che sostengono la sua innocenza, da lui sempre, inflessibilmente affermata: «Avrei dei vantaggi a confessare ma non posso riconoscermi colpevole di un delitto che non ho commesso, lo devo ai miei familiari e a tutti coloro che hanno sempre creduto in me».
Ma il dado ora è tratto e lui tornerà. Prima tappa certamente un carcere italiano. E poi? E se l’accordo con gli Stati Uniti prevede la detenzione a vita, cosa succederà? Come potrà essere applicata la legge italiana che riconosce ai condannati per il suo stesso reato una serie di sconti e benefici, permessi premio, semilibertà, domiciliari e pure il fine pena dopo un certo numero di anni di reclusione?
Comunque sia, la vita di Chico Forti è già un film, con un primo tempo di avventura, un secondo di tragedia e un terzo ancora da scrivere.
Riavvolgendo il nastro di mezzo secolo, si torna a un giovane Forti appassionato di windsurf che pratica nel vicino lago di Garda. Aiutato da un fisico atletico e da un certo coraggio creativo, brucia le tappe.
Inventa il salto mortale all’indietro con la tavola, disegna e produce rampe da mettere in acqua e diventa il primo italiano a competere nella Coppa del mondo di specialità. In seguito a un incidente d’auto, lascia la carriera agonistica e diventa produttore di documentari televisivi dedicati agli sport estremi. Nel 1990, altro guizzo: come concorrente a TeleMike, il quiz televisivo di Canale 5 condotto da Mike Bongiorno, vince una somma che gli consente di traferirsi negli Stati Uniti, il suo sogno. La vita sentimentale è altrettanto movimentata: sposa un’italiana, divorzia, si risposa in America con la modella Heather Crane, dalla quale ha tre figli, Savanna, Francesco e Jenna Bleu che lo scorso anno l’ha reso nonno.
Ma veniamo alla travolgente vicenda giudiziaria. Secondo i giudici americani gli indizi della sua colpevolezza sono almeno cinque: la sabbia ritrovata nella sua macchina, uguale a quella della spiaggia
UNA PISTOLA, LE BUGIE E LA PRESUNTA TRUFFA ECCO PERCHÉ I GIUDICI HANNO DECISO DI CONDANNARLO ALL’ERGASTOLO
di Sewer Beach dove è stato rinvenuto il corpo denudato di Pike con due fori nella testa; i tabulati telefonici che lo collocano sulla scena del crimine; la pistola di Forti, una calibro 22, lo stesso dell’arma usata dall’assassino; e la “grande menzogna” di Forti, che in un primo momento aveva dichiarato alla polizia di non aver mai incontrato Pike per poi, di fronte all’evidenza dei fatti, ritrattare e riconoscere di essere andato a prenderlo all’aeroporto ma di averlo lasciato in un parcheggio. Infine la mancanza di un solido alibi che si combina a un possibile movente. Lo chiamano felony murder, omicidio consumato per commettere un altro crimine, che in questo caso sarebbe stato una truffa ai danni del padre di Pike, Anthony. Il quale, affetto da demenza senile, stava vendendo l’albergo Pikes Hotel di Ibiza a Chico Forti. L’ipotesi d’accusa è che il figlio di Anthony, Dale, avesse scoperto l’inganno e fosse volato a Miami per impedirlo.
La difesa di Forti, con la quale ha inizialmente collaborato anche la criminologa Roberta Bruzzone, ha contestato ogni punto: la sabbia è quella di tutte le spiagge di Miami; la pistola, anche se pagata da Chico, era in realtà in uso al vicino di casa Thomas Knott, un tedesco con precedenti per truffa, che peraltro aveva messo in contatto Forti con Pike per la vendita dell’hotel; la menzogna sarebbe stata la reazione istintiva allo spavento del delitto. E infine il movente: «Il truffato è Chico Forti e non Pike. Perché l’albergo era un white elefant, un elefante bianco, una fregatura colossale per Chico, gravato di debiti e non più di proprietà di Pike», ha concluso Bruzzone.
Insomma, tutto e il contrario di tutto. A sostenere con forza e per primo l’innocenza di Forti è stato lo zio di Chico, Gianni, che ha riempito una stanza di carte processuali, nella quali si è immerso per anni con commovente dedizione: «Qui dentro ci sono centinaia di elementi a discolpa di mio nipote».
L’ipotesi della difesa è quella dell’accanimento da parte della polizia di Miami nei confronti di Forti per via di un documentario da lui girato, Il sorriso della medusa, che metteva in discussione le investigazioni rispetto a un delitto eccellente commesso da quelle parti: quello di Gianni Versace (15 luglio 1997). Documentario scomodo, a detta di Forti. Per i colpevolisti, invece, solo fantasie da megalomane, considerato lo scarso peso avuto sull’opinione pubblica. Fra questi, il più convinto è Marco Strano, un ex ufficiale dei carabinieri collaboratore dell’Fbi di
Quantico, che ha studiato il caso sul campo, indagando in Florida: «Forti è un bugiardo patologico e ha ingannato tutti per 20 anni. La verità è che è stato condannato con prove schiaccianti acquisite dal Miami Dade Police Department, uno dei Dipartimento più efficienti e corretti del mondo, altro che corrotto. Forti è stato l’ultimo a vedere la vittima ed era con Pike sulla scena del crimine all’ora in cui si è consumato… Non si capisce poi per quale motivo i familiari non rendano pubblici gli atti…». Lo zio Gianni non vuol sentir parlare di Strano: «Quest’uomo specula sulla vicenda di mio nipote, io ho speso 30 mila euro per avere i supporti cartacei, non vedo per quale motivo dovrei darli a una persona che li manipola».
IL FUTURO
Quanto al futuro di Forti, di certo c’è solo che andrà inizialmente in carcere. A decidere sul suo conto sarà la Corte d’Appello di Trento. «L’eventuale esecuzione di un ergastolo ostativo, quello che viene inflitto a certi mafiosi (fine pena mai, ndr), che è la condanna italiana più vicina al “life without parole” statunitense, implicherebbe l’adozione di un provvedimento da considerarsi incostituzionale e anticostituzionale, legato al trattamento iniquo rispetto ad altri detenuti per lo stesso reato» mette in guardia l’avvocato Alexandro Maria Tirelli che assiste la famiglia Forti in Italia ed è esperto di diritto internazionale. «In Italia crediamo nel valore dell’uomo e dell’emenda, gli Stati Uniti inizino a rispettare la sovranità del nostro Paese». Bruzzone sospira e taglia corto: «Vedo una sola possibilità, la richiesta di grazia al Presidente Mattarella». Dall’altra parte dell’oceano, Chico Forti è consapevole delle difficoltà: «Lo so che non sarà facile ma almeno in Italia potrò riabbracciare mia madre». Mamma Maria, 96 anni, «la mia roccia» come dice lui. Per lei, il ritorno di Chico è un’emozione: «La più grande della mia vita. Non lo vedo dal 2008, da quando andai a trovarlo in carcere per i miei 80 anni. Poi mi sono mancate le forze per muovermi. E avevo perso la speranza».
GLI AVVOCATI SPERANO SARÀ POSSIBILE SOSTENERE CHE LA CONDANNA È CONTRO LA COSTITUZIONE ITALIANA