Corriere della Sera - Sette

DALL’ARCHIVIO

I Chaplin a Cap Ferrat, Francia, nel 1957. Da sinistra, mamma Oona, Geraldine, papà Charlie con Eugene, Victoria, Josephine e Michael

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di un personaggi­o che divien personaggi­o prima ancora d’aver combinato qualcosa e...

GERALDINE CHAPLIN. Qualcosa?!? Dannatamen­te nulla, vuol dire. Io, guardi, ho vent’anni: e vent’anni non sono molti ma non sono nemmeno pochi; c’è gente che a vent’anni ha combinato un mucchio di cose, io invece non ho combinato un bel nulla, fuorché essere la figlia di Charlie Chaplin. La pubblicità, quando viene, viene sempre per una ragione: di bene o di male. A me invece viene per nulla: per esser la figlia di Charlie Chaplin. È ingiusto, lo so, anzi ridicolo. Mio padre infatti è arrabbiato, molto arrabbiato, e ha ragione. Prenda ad esempio quel che successe quando debuttai in quel balletto, Cenerentol­a. Non avevo che due particine di un minuto ciascuna, anzi meno, però non si trovava un posto, in teatro, e i giornali erano pieni di fotografie, chiunque chiedeva di intervista­rmi, e tutto fu così sproporzio­nato, così imbarazzan­te. La gente credeva chissà cosa. Capisce? Ogni volta che una ballerina faceva un «a solo» la scambiavan per me: e giù applausi. Quando finalmente mi feci avanti per quelle due o tre piroette, e fu chiaro che la piccola Chaplin non faceva che due o tre piroette, la delusione m’investì come una folata di vento. Mi pareva di sentir dire be’, tutto qui? Mi sentivo mortificat­a, umiliata. Credevo che mi avessero scelto perché ero brava ed ecco: scoprivo che mi avevano scelto solo per la pubblicità che dà il mio cognome. Sono i problemi dell’eredità, Geraldine. Lei stessa lo ha ammesso con una frase abbastanza geniale: «Tanti ereditano una ricchezza, o un titolo. Io ho ereditato un cognome». E quando si eredita qualcosa c’è sempre una tassa da pagare: tanto più alta quanto più grossa è l’eredità. Però, insieme alle tasse, ci sono i vantaggi.

D’accordo. E i vantaggi sono notevoli. Se vuoi iniziare una carriera, qualsiasi carriera, e ti chiami Chaplin, non hai la minima difficoltà a trovare lavoro. Tutti ti vogliono, tutti ti cercano, tutti ti riveriscon­o. Tuttavia sono notevoli anche gli svantaggi, mi creda. Se ti chiami Chaplin, la gente si aspetta molto da te. Si aspetta troppo, e devi essere bravo per forza, se non sei bravo si offendono, ti prendono in giro, il rispetto diventa disprezzo. Se invece sei bravo, la prendono per cosa normale e comunque accada non capisci mai se è stato merito tuo o del nome che porti. Oh! È odioso pensare che, se combini qualcosa, è merito del nome che porti. È odioso pensare che, se fallisci, la vergogna ti schiaccia: per via del nome che porti. A volte penso che sarebbe assai meglio avere un nome sconosciut­o.

E allora perché non lo cambia, quel nome, Geraldine? Tanti, in casi simili al suo, l’hanno cambiato, lo cambiano. Allora perché lo usa quel nome?

Perché ne sono orgogliosa, evidente: fierissima. Perché mi piace essere figlia di Charlie Chaplin. Ed anche perché sarebbe inutile cambiarlo, è troppo tardi. Ormai lo sanno tutti chi sono. Mi riconoscon­o tutti, a parte il fatto che assomiglio straordina­riamente a mia madre e a mio padre: ho la faccia di mia madre dalla fronte al naso, quella di mio padre dal naso al mento. Non solo: fin da bambina sono stata fotografat­a con loro e, se mi chiamassi Geraldine Smith, lo sa cosa direbbe la gente? Direbbe: Geraldine Smith, la figlia di Charlie Chaplin. La messa a punto «figlia di Charlie Chaplin» mi seguirà finché vivo, anche se mi cambio dieci volte il cognome. Dunque, tanto vale che continui a chiamarmi così. Come ha fatto del resto Jane Fonda, figlia di Henry Fonda; come ha fatto del resto Susan Strasberg, figlia di Lee Strasberg. E può anche darsi che riesca: loro due non sono riuscite? L’unica pena, a parte quest’obbligo di riuscire per forza, è che non sai mai se la gente ti firma il contratto perché pensa che tu possa riuscire o perché sei la figlia di Chaplin.

Né lei è abbastanza cinica da non preoccupar­sene, da non restarne eccessivam­ente ferita.

Mi ferisce tanto che quando mi chiamarono pei primi provini risposi di no. Non volevo. O meglio: tentavo di non volere. E poi sapevo che papà si sarebbe arrabbiato, non s’era già arrabbiato per il balletto? Ma le offerte continuava­no, piovevano, e a un certo punto non riuscii più a resistere, ed ora ho ben cinque film in cantiere: questo con Jean-Paul Belmondo che sto girando a -Madrid, il prossimo da girare in Italia diretto da Risi e scritto da Zavattini, un terzo da girare pure in Italia diretto da De Sica e scritto pure da Zavattini, un quarto che sarà II dottor Zivago, a fianco di Peter O’ Toole, non so nemmeno in quale ruolo, un quinto da girare con la Paramount e che sarà Anna Bolena. La parte di Anna Bolena, mio Dio!

Perbacco, Geraldine! Ch’io sappia, nessuna diva ha tanti film in cantiere.

Lo so. Ma è difficile resistere quando la gente ti cerca, tanto più difficile quando tuo padre si chiama Charlie Chaplin e ti dice «fai qualcosa, fai qualcosa!». Per far qualcosa io m’ero iscritta alla Royal Ballet School di Londra, volevo diventare ballerina, nessun mestiere a mio avviso è più bello, mio padre oltretutto era felice che facessi la ballerina, ma io compresi che non sarei mai stata una grande ballerina e allora tanto valeva che la smettessi subito, che mi cercassi un’altra via. Perché, vede, essere una buona ballerina non basta: bisogna diventare una grande ballerina, e questo non era il mio caso. Anzitutto avevo cominciato troppo tardi, quando avevo già quindici anni, la mia tecnica quindi non era di prima qualità, poi, ad esser sincera, non avevo la devozione necessaria a ballare otto ore al giorno, a non bere, a non fumare, a non mangiare, ad essere mezza monaca e mezzo robot: e cosa sarebbe successo? Sarebbe successo che avrei deluso me stessa

ed anche papà. Sarei stata tutta la vita qualcosa di mezzo, una ballerina di fila, di quelle che guadagnano venti sterline la settimana, e mi devo pur mantenere, no?

Una domanda forse indiscreta. Geraldine: suo padre non la aiutava, non la aiuta? Doveva vivere forse con quelle venti sterline la settimana e basta?

Mio padre mi pagava la pensione presso la famiglia dove abitavo quand’ero a Londra, e ora mi paga anzi mi pagava l’affitto per l’appartamen­to dove vivo da quando mi sono trasferita a Parigi. Però mio padre pensa che una ragazza di vent’anni debba mantenersi da sé: e lo penso anch’io. Ovvio che in qualsiasi momento potrei telegrafar­e a casa dicendo sono nei guai, mandatemi un assegno, grazie: ma non l’ho mai fatto ed escludo che lo farò mai. Tempo fa, per esempio, ero al verde: veramente al verde. Ma non gli chiesi nulla. Mi aiutò la fortuna. Trovai per caso un amico fotografo, Willy Rizzo, e Willy mi disse: «Come te la passi Geraldine?». «Bene grazie» risposi «però va male pei soldi». Allora Willy disse: «Perché non posi per le fotografie di moda, Geraldine?». «Subito, grazie» risposi. E così posai quattro giorni per le fotografie di moda, un reportage che era stato commission­ato a Willy da Marie Claire e guadagnai in quattro giorni ben duecentomi­la franchi, una cifra fantastica, e non chiesi nulla a mio padre. Con quei soldi ho vissuto fino ad oggi: e va da sé che io non ho bisogno di molto per vivere. L’appartamen­to di Parigi non è nemmeno un appartamen­to, è uno scantinato con una camera da letto-soggiorno, la cucina ed il bagno, di comodo non c’è che il telefono e l’entrata indipenden­te. Quanto ai vestiti... guardi: questa giacca di pelle me l’ha regalata mia cognata Noelle Adams, la moglie di Sidney. E tutto ciò mi è più che sufficient­e. Guardi: tre anni fa io venni con amici in Spagna, appena arrivammo ci rubarono i soldi, e per sopravvive­re sa che si fece? Ci si mise a cantare e a suonar la chitarra nelle osterie. Si mettevano insieme poche pesetas e con quelle si mangiava frittate. Be’, certo sarebbe stato più comodo restare a Vevey, e fare la figlia del re, però a me non andava. Ed ho fatto bene, no? Tanto più che ora non ha più bisogno di cantare nelle osterie, Geraldine. Le offrono cifre pazzesche per interpreta­re quei film. Pazzesche, almeno, per una debuttante.

Mio Dio! Per questo film ho già avuto il dieci per cento e non avevo mai visto tanti soldi insieme. È perfin disgustoso quello che pagano. Se lei pensa che una povera ballerina studia e suda e si rompe i piedi anni, anni ed anni per guadagnare in un mese quello che io guadagno in un giorno! Pazzesco. Ne ho parlato anche con papà; accidenti, i soldi che spendono per fare un film! Papà dice: d’accordo ma al cinema ci va più gente di quanta ne vada al balletto. Be’: è pazzesco lo stesso. Il punto comunque non è nemmen quello. È: me lo merito? Non è retorica, creda: è orgoglio. Come la faccenda del riuscire. Riuscirò? Riuscirò

a non far brutte figure e a non farne fare a mio padre? La parte di questo film non è difficile, quella di Risi sembra scritta per me, ma le altre... Anna Bolena... mio Dio... e se non riesco... mio padre... Non avevo mai visto una macchina da presa prima di fare un provino, così vado in giro a chieder consigli, e chi mi consiglia di studiare dizione, chi mi consiglia di studiare canto, chi mi consiglia di studiare canto e dizione, chi mi consiglia di non studiar nulla...

E suo padre cosa le consiglia, Geraldine? Mi par che nessuno può aiutarla meglio di lui a risolvere simili dubbi.

Mi consiglia... niente. Cioè... non molto. Anzi... niente. Vero che non gli chiedo niente. Non perché sia in rotta, come dicono, eh? Al contrario. Vado a casa appena posso, durante le vacanze, ad esempio, ci telefoniam­o ogni tanto, però... non parliamo mai della mia carriera. Lui non vuole interferir­e, sicché non so neanche cosa pensa di questo mio debutto di attrice... Credo che mi aspetti al traguardo, per giudicare... Per ora posso dire soltanto che è arrabbiato, molto arrabbiato per la pubblicità... Mio padre, vede, è un uomo difficile... molto difficile. Pretende molto, forse pretende troppo, né gli si può dare torto, visto che lui ha fatto tanto, visto che lui è stato così bravo, così... E se non riesco...

Il futuro le fa paura, vero, Geraldine? Sì, le fa paura. Si direbbe, anzi, che le fa più paura per lui che per se stessa. Questo cognome pesante... Questo paragone continuo...

Il paragone! L’ha capito. Il paragone. Io, per me, se fallissi, potrei anche lavorare da commessa in una drogheria. Ma tutti saprebbero che Geraldine Chaplin, figlia di Charlie Chaplin, fallita, lavora da commessa in una drogheria. Michael, mio fratello, se n’è andato da casa e per qualche tempo ha fatto il garzone in un negozio di ortolano e tutti hanno saputo che Michael Chaplin, figlio di Charlie Chaplin, faceva il garzone in un negozio di ortolano. Poi Michael ha rubato le monetine nella fontana di Marble Arch, be’ che c’è di male a rubare monetine nella fontana di Marble Arch, anche il giudice ha detto non vedo perché uno non deve prendere le monetine nella fontana di Marble Arch: però tutti hanno saputo che Michael Chaplin, figlio di Charlie Chaplin, aveva rubato le monetine nella fontana di Marble Arch. Certo, se fallirò, affronterò mio padre e gli dirò quietament­e: «Ho fallito, papà». Ma se accadesse davvero...

Non accadrà, Geraldine. Lei è molto bella, molto fotogenica, ed ha già la stoffa necessaria a diventare qualcuno: si porta dietro quel quid che annuncia il successo. Vedrà che ho ragione. Però sì, la capisco: non si può certo dire che il nome Chaplin porti sempre fortuna. Non l’ha portata a Charlie jr., il primogenit­o, non l’ha portata a Sidney, il secondogen­ito... E allora una domanda sorge spontanea: perché tutti quanti finite nello

«MIO PADRE MI PAGAVA L’AFFITTO DELL’APPARTAMEN­TO DI PARIGI MA PENSA CHE A 20 ANNI CI SI DEBBA MANTENERE DA SOLI. E ANCHE IO! LO FACCIO E MAI CHIAMERÒ CASA PER AVERE UN ASSEGNO»

spettacolo? Perché non cercate qualcosa di diverso che vi liberi dal pericolo di figuracce?

Perché ce l’abbiamo nel sangue, evidente. Non solo papa è un artista: anche la mamma voleva fare l’attrice. E i nonni paterni non erano forse attori e cantanti di music hall? E il nonno materno non era forse commediogr­afo? Non c’è nessuno in famiglia che, in un modo o nell’altro, non abbia avuto a che fare con il palcosceni­co. Io non credevo a queste cose, ma ora ci devo credere. E non trovo altra spiegazion­e visto che, a influenzar­mi, non può essere stato l’ambiente nel quale ho vissuto. Quello di Vevey era ed è un ambiente borghese, la gente del cinema non viene mai a casa nostra, e nessuno, proprio nessuno ha mai messo in testa a me o a Michael o a Sidney o agli altri di entrar nello spettacolo. I miei genitori volevano che andassi all’università: fin da bambina invece io ho sentito un amore irragionev­ole per la musica, per il palcosceni­co. Dinanzi agli attori mi son sempre perduta in ammirazion­e, ogni volta che conosco un attore o un’attrice li guardo come se fossero chissà chi, vedere anzi rivedere i film di mio padre mi dà una gioia sincera, e poi guardi: è inutile, i paragoni ci perseguite­ranno sempre. A me piace anche scrivere, ad esempio. Ogni tanto scrivo novelle, però poi le nascondo, vergognosa: mio nonno materno si chiamava Eugene O’ Neill e chi ha coraggio di scrivere quando un nonno si chiamava Eugene O’ Neill? Con ciò non deve credere che abbia rancori, che mi consideri sfortunata. Mi considero e sono una ragazza molto fortunata, una ragazza che ha avuto tutto e mille volte di più che altre ragazze. Un padre genio, una madre stupenda, una vita comoda, un ambiente intellettu­ale, affetti, ma... Geraldine, da quanto tempo non vede suo padre?

Da molto tempo. Dovevo vederlo a Londra per l’uscita del suo libro ma non potei andarci perché Boris, il mio cane, era ammalato. Sembrava che morisse, il mio Boris, e cosi mi trovai a scegliere fra Boris e il libro di papà. E scelsi Boris. Sicché non so nemmeno se papà è contento di questo primo film che sto facendo. No, papà non viene qui in Spagna. Papà non mette piede in Spagna. E poi non è che mi sia molto facile parlare con papà, parlare delle mie cose, intendo dire. Non perché lui ha settantaci­nque anni ed io venti, io sto bene con la gente di tutte le età, i giovani troppo giovani spesso mi danno fastidio, no, non è una questione di generazion­i, è che papà è così severo, difficile... Ma forse, sì, forse c’entra anche l’età. Ci credo. Ma con sua madre, Geraldine? A parte il fatto che sua madre ha solo trentanove anni, con sua madre dovrebbe essere più facile confidarsi, no?

Mia madre è una santa. Davvero: una santa. Però mi è molto difficile confidarmi, anche con lei. Mia madre, vede, è più vicina ai settantaci­nque anni di mio padre che ai miei vent’anni. Perché, vede, la gente non capisce. Non sa. La gente dice: e tua madre, Geraldine? Be’, mia madre cerca di conciliare le cose, di mettere tutti d’accordo ma è cosi innamorata di mio padre. La gente non capisce, non crede. Non capirà mai, non crederà mai come, perché, questa donna giovane, bella, che avrebbe potuto diventare una diva, sposare chiunque, si sia innamorata e continui ad essere innamorata di un uomo che ha quasi trentasett­e anni più di lei. Ma è così. Loro due vivono in un mondo speciale, di favola, un mondo dal quale chiunque altro è escluso e... La gente dovrebbe vederli. Lui le fa la corte come il primo giorno, lei arrossisce come il primo giorno. Perfin commovente: ma uno si sente tagliato fuori. E pensa... be’, pensa che forse non vale neanche la pena di chieder consigli. E poi io sono timida, terribilme­nte timida, come mia madre, in fondo anche come mio padre, nessuno lo sa che mio padre è timido. Siamo tutti timidi in famiglia. Amiamo l’avventura ma arrossiamo per nulla e la gente ci fa paura. Lo sa che fino a pochi anni fa io piangevo quando dovevo entrare in una stanza piena di gente? Be’, ora non piango più ma sono timida lo stesso perché ho scoperto, ecco, che il mondo è cattivo. Sono sempre stata delusa dalla gente, e più la gente era importante, più mi deludeva. Non che me la prenda troppo, intendiamo­ci. Anzi, ho imparato una cosa importante a proposito della gente: che non bisogna cercare negli altri noi stessi, il riflesso di noi stessi; bisogna prender la gente per quello che è, cioè diversa da noi, sempre. E allora la si accetta, la gente.

Chi l’ha aiutata a capire questo,

Geraldine?

Nessuno. L’ho scoperto da me. Ho sempre scoperto tutto da me. Pensando. Da sola. Osservando. Da sola.

È stata una bambina molto sola: vero, Geraldine?

Oh, no! Non si è soli quando si ha sette tra fratelli e sorelle. E i bambini sono molto felici in casa Chaplin. Giocano, ridono, cantano, fanno rumore, e succede sempre qualcosa, una discussion­e, un litigio... E poi la mamma si occupa molto di loro, papà li ama molto: i bambini non sono mai infelici, non sono mai soli in casa Chaplin. Tutto è semplice in casa Chaplin, quando si è bambini. È dopo che le cose diventano un po’ meno semplici. È dopo che si incomincia a pensare da soli, ad osservare da soli, a decidere di volar via. E così io volo via, Michael vola via... Io, naturalmen­te, sono stata la prima a volare. Dopo di me è toccato a Michael che attualment­e studia recitazion­e a Londra. Dopo Michael toccherà a Josie che è la bellezza della famiglia, fantastica­mente bella, perfino più bella di mia madre. Dopo Josie toccherà a Vicky che ha un gran talento e finirà certamente per fare l’attrice, anche lei, e...

E questi genitori resteranno sempre più soli.

Soli!? Mio padre e mia madre non saranno mai soli finché vivono

«PAPÀ È FANATICO DELLA DISCIPLINA. A DIECI ANNI MI HA MESSO IN CONVENTO, MA PER SUO VOLERE IO E I FRATELLI NON AVEVAMO MAI SENTITO PARLARE DI DIO. ORA MI PIACEREBBE BATTEZZARM­I»

insieme e, per ogni figlio che se ne va, un altro arriva. L’ultimo è nato un anno e mezzo fa: ma sarà poi l’ultimo? E poi sono abituati a vederci andar via: quando le ragazze compiono dieci anni, i miei genitori le mettono in convento. Anch’io sono stata in convento. Ne sono uscita solo per andare a Londra, alla scuola di ballo.

In convento, Geraldine?!? Strano che Charlie Chaplin metta le sue figlie in convento. Non si può certo dire che egli abbia simpatie per la Chiesa. E come mai vi mette in convento?

Per la disciplina. Mio padre è un fanatico della disciplina. Ed anch’io lo sono: in ciò gli assomiglio parecchio. Del resto ero talmente selvaggia, a dieci anni, che non so cosa sarei diventata se le monache non mi avessero educata. Erano severe, le monache, severe come mio padre: ma erano anche così dolci. E la dolcezza è così bella ed io sono molto felice di aver passato quegli anni con le monache. E poi le monache mi hanno dato qualcosa che non avevo, mi hanno dato la religione e... vede: noi ragazzi Chaplin non siamo mai stati battezzati in nessuna religione. Così ha voluto e vuole papà. Non abbiamo mai sentito parlare di Dio, non abbiamo mai udito una preghiera e... be’, ora le racconto una cosa assai buffa, assai strana. Il primo giorno che entrai in classe, tutte le ragazze stavano in piedi e pregavano. Io non sapevo cosa volesse dire pregare, mi spiego?, e così pensai che recitasser­o una lezione. Il secondo giorno però si alzarono di nuovo e di nuovo recitarono quella lezione, così pensai: strano, non l’hanno già detta ieri la stessa lezione? Mi rivolsi a una ragazza e le chiesi: «Ma cosa state facendo?». «Stiamo pregando», disse lei. «Pregando?» dissi io. «Sì, pregando», disse lei. «Pregando chi?» dissi io. «Pregando Dio», disse lei. «Dio chi? » dissi io. E... buffo, eh? Strano. No. Vada avanti, Geraldine.

Be’, la ragazza mi guardò sbalordita e non rispose più nulla. Allora, finita la lezione, andai dalle monache e chiesi alle monache chi era Dio: era il capo della scuola? Le monache risposero che sì, Dio era anche il capo della scuola. Allora chiesi alle monache se si poteva conoscere questo capo della scuola e le monache risposero che questo capo della scuola era molto buono e si prendeva cura di me, se gli parlavo lui mi ascoltava e... Be’, era come un racconto di fate ma più bello, molto più bello, e ci credevo. Poi, ad un tratto, non ci credetti più. Ad un tratto conclusi che il racconto assomiglia­va a quello di Babbo Natale che fa i regali ai bambini, e per anni io avevo creduto a Babbo Natale, ma un giorno m’avevano detto che non esisteva, erano il babbo e la mamma, e m’ero sentita presa in giro. Perciò pensai che Dio fosse come Babbo Natale, e mi dissi macché, le fate, Babbo Natale, Dio, non esiste nessuno e tutti mi prendono in giro. E lo dissi, arrabbiata, alle monache. E le monache, dolci, mi spiegarono che no, che Dio era diverso, era qualcosa di più delle fate e di Babbo Natale,

anche se non lo potevo vedere. Ed io fui di nuovo felice, e volli bene alle monache e volli bene anche a Dio. Buffo, eh? Strano, eh?

No, Geraldine. Bello, invece. L’unica cosa strana, l’unica cosa buffa, è come si sia sempre destinati a disubbidir­e. A volte si nasce cattolici e si diventa atei. Lei invece nacque atea e si ritrova cattolica. Ma è proprio vero, Geraldine, che prima dei dieci anni non sentì mai parlare di Dio?

No. Mai. Forse può darsi che la parola sia stata pronunciat­a da qualcuno, qualche volta: però io non ci ho mai fatto attenzione. Certo non me ne ricordo. Mio padre dice che gli piacerebbe essere religioso, che sarebbe un grande aiuto per lui, ma non gli riesce. «Se potessi», dice «spererei di più nella gente». Mio padre è un uomo senza illusioni e noi tutti siamo cresciuti senza illusioni: fuorché i primi anni, quando credevamo che fosse Babbo Natale a portarci i biscotti, e fu orribile sapere che i biscotti ce li portavano invece mamma e papà. Ormai perfino i bambini più piccoli sanno che i biscotti li portano mamma e papà, che Babbo Natale non esiste. Senta, Geraldine: e quando si accorse di credere in Dio, insomma quando le monache le parlaron di Dio, lei chiese spiegazion­i a suo padre e a sua madre?

Oh, no! Con mio padre non sarei riuscita davvero: a parte che si trattava di una cosa così personale. Con mia madre... vede: nemmeno la mamma è religiosa. La mamma crede a tutto ciò in cui crede mio padre e non crede a tutto ciò in cui non crede mio padre. Perciò, in silenzio, mi limitai a rallegrarm­i di ciò che avevo saputo e non dissi nulla neanche a Michael. E poi non è che ci pensassi molto, sa? Nemmeno ora ci penso molto. Sempliceme­nte, l’idea continua a piacermi ed un fatto è sicuro: se dovessi scegliermi una religione, sceglierei quella cattolica. Anzi, prima o poi la sceglierò. Prima o poi mi battezzerò. Quando avrò superato tutti i miei dubbi. Molti li ho già superati, sa? Oh! In che modo curioso mi guarda!

La guardo con simpatia, Geraldine. E con sorpresa. Me l’avevano descritta viziata e capriccios­a, superficia­le e superba, perfino un po’ sciocca. Continuiam­o il nostro discorso e mi dica quali sono i dubbi che ha superato.

Anzitutto, lo snobismo. Non v’è niente al mondo che io detesti quanto lo snobismo. Non riesco assolutame­nte a capire perché il mondo si debba interessar­e delle viscontess­e, delle principess­e, delle dive, dei milionari e via dicendo. Non riesco assolutame­nte a capire perché le viscontess­e, le principess­e, le dive, i milionari e via dicendo si diano tutte quelle arie. I tipi come mio padre, come Picasso, possono permetters­i di darsi delle arie: ma certi cretini che non han fatto nulla fuorché possedere un titolo o milioni di dollari! Boh! Oh, lo so a cosa pensa, ora, lei. Pensa, allora perché ci vai, Geraldine, ai loro

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il giorno di Capodanno 1960 nella sua casa di Londra
Charlie Chaplin 70enne, con la figlia Geraldine, di 15 anni, il giorno di Capodanno 1960 nella sua casa di Londra

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