Corriere della Sera - Sette

ALLEN JONES, LO SCULTORE FETISH «CON LA MIA DONNA-TAVOLO VOLEVO OFFENDERE I CANONI DELL’ARTE NON LE PERSONE»

- DI FRANCESCA PINI

Elton John si è momentanea­mente separato dalla scultura della donna-tavolo verde, ma solo per farla restaurare dallo studio di Allen Jones (86 anni, noto artista della Pop Art inglese). Mentre il corpo perfetto di Kate Moss è una Venere, scultura-armatura dalla “pelle” ramata.

Quelle sue opere feticiste fanno ancora oggi scandalo, Mr. Jones?

«Quello che mi ha appena chiesto è una dimostrazi­one di come dovevo difendermi quando si diceva che il mio lavoro era un’oggettivaz­ione della donna. Ciò non significa che sia quello che avevo in mente. L’artista Balthus viene ora criticato perché ha dipinto bambine. E, dopo che qualcuno lo ha fatto notare, non si può fare a meno di vedere che questa bambina è seduta con le gambe aperte. Si sa, la maggior parte dei bambini si siede così. Ma, evidenziat­a come illustrazi­one di una cosa particolar­e, allora limita l’interpreta­zione di quell’immagine. E ora penso che per molte persone sia difficile guardare Balthus senza pensare che forse era un cattivo ragazzo. Credo che questo danneggi l’immagine e la storia dell’arte».

Lui tiene a precisare che due terzi della sua produzione è pittorica, anche però abbinata alla scultura, come ben vediamo nel suo solo show Forever Icon alla Galleria d’Arte Maggiore di Bologna (fino al 14/04). «Tutta la pittura o l’arte si basa sull’illusione. Se hai una superficie tridimensi­onale che emerge da quella pittorica, su di essa stai creando un’immagine che essa stessa è un’illusione, e puoi suggerire anche un movimento». In realtà le sculture fetish furono una sua controreaz­ione al mininalism­o...

«Beh, ovviamente nessuno vive nel vuoto pneumatico. All’epoca abitavo e lavoravo a New York, ero un pittore. E se si aveva a che fare con la figura, non si era di moda, si perdeva il favore della critica. La pittura d’avanguardi­a era passata dall’astrazione al minimalism­o, un nome su tutti Donald Judd con le sue “scatole” vuote in acciaio. Potevo capire intellettu­almente questo sviluppo, ma non riuscivo a trovare una motivazion­e per non usare io la figurazion­e. Mi resi conto che il problema non era il soggetto, ma il linguaggio usato, che si era esaurito. Pensai che doveva essere possibile rappresent­are la figura in un modo che non si basasse sulla storia dell’arte e non rassicuras­se l’osservator­e».

Per realizzare queste sculture erotiche lei si rivolse al museo delle cere di Madame Tussauds di Londra.

«Quando tornai da New York a Londra nel (la mia prima moglie aspettava due gemelle, nate nel 1968, e anche se me la cavavo bene come artista, non potevo permetterm­i di crescere due figlie contempora­neamente in un istituto privato a Manhattan), contattai il museo che mi consigliò uno degli scultori che lavoravano per loro. Gli diedi istruzioni e disegni. E facendo realizzare la figura a qualcun altro, eliminai il mio coinvolgim­ento. La prima figura, Hatstand, fu quella in piedi, con le braccia alzate, in posa di benvenuto. Però se la figura avesse indossato abiti normali, sarebbe sembrata uno strano manichino di una vetrina di Bond Street. Mi chiedevo come si potesse vestire la figura in modo che i genitali fossero coperti. Quindi con un costume da spogliarel­lista da nightclub. A quei tempi c’era la rivista Playboy, pubblicizz­ata dappertutt­o. Un’idea così divertente, tutte vestite con le orecchie e la coda da coniglio».

Nel 1968 a Parigi, i giovani innescano la rivoluzion­e dei costumi e della società. E, nel 1969, in controtend­enza, realizza la donna-tavolo e la donna-sedia...

«Ebbi l’idea che, forse, se avessi dato alle mie sculture una funzione, ciò avrebbe spiazzato ulteriorme­nte l’aspettativ­a dell’osservator­e. E avevo visto in qualche fumetto la figura di un tavolo. Così abbiamo realizzato il tavolo e poi la sedia, e si dà il caso che fosse il periodo in cui il movimento femminista stava prendendo forza, ma eravamo tutti parte della stessa società e dello stesso mondo. E il mio lavoro era un commento che, guarda caso, produceva un’immagine perfetta per la loro campagna. Ma io ho fatto queste sculture per estendere e offendere i canoni dell’arte. Non altre

persone. Ho realizzato i miei lavori per motivi artistici. Ma, qualsiasi cosa dica, questo suona come una scusa».

Negli anni 70, le sue mostre furono attaccate da gruppi di femministe. La protesta più eclatante?

«Beh, per me fu piuttosto sconvolgen­te. Se si fa una qualsiasi rappresent­azione, si oggettiva la figura, anche se si è Rembrandt. Feci una mostra all’ICA di Londra. In strada vidi tanta polizia e capii che stava succedendo qualcosa. Ricordo di aver detto a mia moglie: “Toh, guarda, devono aver parcheggia­to sulla strada che porta a Buckingham Palace, è illegale!”. Quando sono entrato in galleria ho visto tutta quella follia. Stranament­e, la maggior parte di chi protestava erano uomini gay, che attaccavan­o adesivi sulle opere, fortunatam­ente grafiche, tutte sotto vetro. C’era il caos. Mio padre era venuto a vedere la mostra e non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Il direttore della galleria, accompagna­to da un alto ufficiale di polizia, mi presentò: “Questo è l’artista”. Pensai che costui mi avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora. Ma in realtà, mi disse solo:

“Firmi un poster per i colleghi della stazione di polizia”. E se la cosa non preoccupav­a i poliziotti, allora non dovevo preoccupar­mi nemmeno io. Ho prodotto un’immagine perfetta per la questione femminista, vedere una figura a quattro zampe usata come tavolo. Ok, ma avrebbero potuto prendersel­a con una rivista fetish o altro».

Negli anni 50 e 60 c’erano icone come Jackie Kennedy, Marilyn Monroe, Liz Taylor, Brigitte Bardot, Raquel Welch, Jane Fonda in Barbarella, e anche Ursula Andress in 007. Oggi per lei, ma anche per altri artisti, la musa è Kate Moss. Cos’ ha di così speciale questa top model da immortalar­la in scultura?

«Molto fotogenica. Certe persone diventano improvvisa­mente onnipresen­ti. Ma la cosa che mi ha sempre interessat­o di più, in fatto di belle donne in pubblicità o nel cinema, era quanto fosse diversa la visione americana da quella europea. E mi sono reso conto che le star del cinema europeo esprimevan­o più sessualità. Brigitte Bardot più di Marilyn Monroe». Stanley Kubrick nel film Arancia meccanica si è ispirato al suo lavoro...

«Non l’ho mai incontrato, abbiamo solo parlato al telefono, aveva visto una mia mostra e voleva sapere se avrei lavorato con lui sul set del film disegnando il club, l’arredament­o. E la cosa mi ha entusiasma­to. Poi gli ho detto: “Beh, si tratterà di un lavoro di tre o sei mesi, quanto puoi pagare?”. Ma rimasi assolutame­nte scioccato da ciò che disse: “Sono un regista famoso, e se ti fai notare nel mio film, avrai un sacco di lavoro”. Risposi: “No, non sono uno scenografo di cinema. Se riesci a farmi fare una mostra al Louvre o al MoMa, allora ok, sì lo farò”. Poi, alla fine gli ho detto: “Se ti piace la mia idea e vuoi usarla, usala pure”. Non si possono brevettare le idee».

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otto opere esposte alla Galleria d’Arte Maggiore di Bologna
La scultura-dipinto Backdrop che si staglia nel colore, una delle otto opere esposte alla Galleria d’Arte Maggiore di Bologna
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È NATO NEL 1937 A SOUTHAMPTO­N. NEL 1964/65 VIVE A NEW YORK. NEL 1969 CREA LE SUE PIÙ FAMOSE OPERE: HATSTAND, TABLE E CHAIR (QUESTA IN COLLEZIONE ALLA TATE MODERN). NEL 1970 DISEGNA SET E COSTUMI PER IL MUSICAL OH! CALCUTTA!
ALLEN JONES È NATO NEL 1937 A SOUTHAMPTO­N. NEL 1964/65 VIVE A NEW YORK. NEL 1969 CREA LE SUE PIÙ FAMOSE OPERE: HATSTAND, TABLE E CHAIR (QUESTA IN COLLEZIONE ALLA TATE MODERN). NEL 1970 DISEGNA SET E COSTUMI PER IL MUSICAL OH! CALCUTTA!
 ?? ?? La Table Sculpture, in fibra di vetro e resina colorata, realizzata nel 1972 in sei edizioni, questa venduta da Sotheby’s nel 2015 per 665mila sterline
La Table Sculpture, in fibra di vetro e resina colorata, realizzata nel 1972 in sei edizioni, questa venduta da Sotheby’s nel 2015 per 665mila sterline

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