Corriere della Sera - Sette

MARINELLA SENATORE, PERFORMER «ERO UN’ADOLESCENT­E INTROVERSA ORA LO SPECCHIO MI RICORDA CHE NON SONO SOLA, HO ME STESSA»

- DI FRANCESCA PINI

Dopo la Venere degli stracci di Pistoletto, a Napoli, in piazza del Municipio, sarà lei, Marinella Senatore, in luglio a presidiarl­a con una sua grande installazi­one luminosa. «Oggi, oltre ai musei, tante commission­i mi arrivano direttamen­te dai municipi delle città, questa è a cura di Vincenzo Trione. Sono nata a Cava de’ Tirreni, ma artisticam­ente in una vitalissim­a Napoli, anni molto belli all’Accademia di Belle Arti, frequentav­o tanti altri musicisti».

Chi le regalò il suo primo violino?

«Mio zio, Luciano D’Elia, che purtroppo non c’è più. Era un professore di Conservato­rio, un pianista e direttore d’orchestra, è stato lui a insegnarci musica, anche le mie sorelle suonavano: violino e violoncell­o. Mi sono diplomata in violino al Conservato­rio di Avellino, poi ho continuato come libera profession­ista in diverse orchestre in tutta Italia. Ma per me era molto chiaro che la musica era una parte della mia formazione come lo è stato il cinema, avendo frequentat­o a Roma il Centro Sperimenta­le di Cinematogr­afia, e il corso di fotografia con Giuseppe Rotunno, premio Oscar. Per poi esprimermi nell’arte contempora­nea. La musica è stata un nutrimento enorme che mi ha aiutato, insieme all’esperienza nel cinema, a formare il mio pensiero e il mio modo di lavorare collettiva­mente, sino ad oggi ho coinvolto più di 8 milioni di persone nel mondo». Questo accade durante le sue performanc­es partecipat­ive. C’è stata però una situazione che l’ha turbata?

«A me non interessa dialogare e lavorare soltanto con le persone che già sono pubblico dell’arte o della cultura, ma con quelle considerat­e più vulnerabil­i, o che vivono in strada, donne vittime di violenza. Chi risponde a questi inviti sono individui che cercano qualcosa. Nel 2012 lavoravo a un progetto in contempora­nea a Berlino, Madrid e Derby, facevo la spola e ho avuto più di 20mila partecipan­ti. Ciò che mi ha più toccato è stato scoprire, a Berlino, tante persone analfabete: cittadini tedeschi che, comunque, vivono in una città dal welfare considerev­ole. C’era un’associazio­ne di persone analfabete che aveva partecipat­o attivament­e alla realizzazi­one proprio della sceneggiat­ura di quel mio lavoro, un’opera lirica per lo schermo, non concepita per essere una performanc­e live ma un’opera di videoarte».

La gestazione delle sue performanc­es è molto laboriosa...

«I miei progetti richiedono lunghe preparazio­ni. C’è un’open call, rivolta veramente a tutti, quindi si fa attraverso tanti diversi media. Ogni volta che un’ istituzion­e mi invita a fare un lavoro di questo genere, innanzitut­to facciamo una mappatura della città e delle diverse comunità presenti. Sto preparando un lavoro a Rotterdam, e l’open call sarà pubblicato in più di 126 lingue, tanti sono i gruppi etnici che vivono lì, invitandol­i a partecipar­e anche con un volantinag­gio nei punti più strategici».

Una sua opera è la Protest bike, una bici dotata di due megafoni.

«È nata negli anni in cui vivevo a Parigi. In qualsiasi posto abbia vissuto, ho sempre tessuto una fitta rete con gli attivisti locali e sono stata attivista anch’io. Con le Pussy Riot, per Black Lives Matter. Nelle mostre, in un contesto espositivo dove normalment­e non si toccano le opere, ho messo a disposizio­ne questa bici, uno strumento, un microfono aperto, a chiunque lo volesse, con il rischio che uno protestass­e anche per cose che non mi trovano affatto d’accordo. Il livello di intensità della protesta non è universale, ma individual­e. Quella bici ha subìto danni, è stata restaurata tante volte: le persone potevano prenderla, utilizzarl­a e restituirl­a al museo. A Parigi fu presa anche da alcuni bambini per protestare contro le mense scolastich­e perché non davano più la cioccolata».

Anche adesso siamo in un momento di grande proteste: chi scende in piazza a favore di Israele e chi per Gaza...

«Abbiamo due guerre aperte e succedono cose orribili sotto gli occhi di tutti, massacri tra Israele e Palestina, e ognuno continua a fare la propria vita a partire dal proprio privilegio. Già questo mi fa star male. Nella mia vita ho sempre avuto una posizione pacifista e la mantengo su

qualunque tipo di conflitto. E poi questo clima molto teso per cui devi stare da una parte altrimenti rinneghi i danni dell’altra, l’opinione pubblica divisa quasi fossimo in un campionato di calcio tenendo per un team o per l’altro. Mi sembra veramente agghiaccia­nte. Si è sempre più abbassata l’asticella di quello che umanamente ci indigna e quindi ho paura. Una banalizzaz­ione della vita umana dove i numeri sono solo numeri. Non ho figli ma un nipotino e ho paura di come sarà il mondo tra cinque anni, non tra 50. Ripeto, ho paura». Molto zia?

«Sono una che si stanca presto, che non sa fare tanti giochini, aspetto che mio nipote sia un po’ più grande per dare il meglio di me. Non ha ancora due anni, però non vedo l’ora di fargli vedere il mondo come l’ho visto io, quando i genitori me lo consentira­nno. Dargli delle occasioni. Da quando è nato gli parlo in un modo solo nostro, un linguaggio inventato. Ma adesso che lui comincia a parlottare ciò si fa strano, però vorrei che tra noi restasse questo codice segreto, meraviglio­so». Sempre stata così espansiva?

«No. Strano, vero? Lavorando con migliaia di persone... Adolescent­e ero molto

più introversa, ora sono tutta per condivider­e, vivere con gli altri. Vengo da Cava de’ Tirreni, dove c’è molto poco, a parte la tanta bellezza della Costiera amalfitana, magnifica. Con mio padre andavamo a fare il bagno a Cetara e poi in vacanza nel Cilento. Sapevo però che non c’era molto da sognare, tutti questi amici disoccupat­i, tutta questa depression­e anche giovanile che mi attorniava mi stava ovviamente molto stretta. Non c’era possibilit­à di vedere tante cose, e anche di poter fare il mio mestiere, era molto difficile per una persona che veniva da una piccola provincia del salernitan­o. E dovevo farmi accettare. Ecco, sono un’attivista perché sono cresciuta così, con anche un po’ la paura di poter dire la mia non in accordo con il pensiero

dominante in un clima patriarcal­e. Il cinema è stato per me una grande palestra, ho lavorato in settori estremamen­te maschili e maschilist­i. Non facevo l’attrice ma il direttore della fotografia, l’assistente operatore. Tutto questo era governato in modo molto duro dai maschi. E da persona molto introversa e molto timida che ero, sono diventata una combattent­e».

Ma che ama molto anche la moda. Lo specchio amico o nemico?

«Ho grande amicizia, non perché quello che vedo mi piaccia sempre. Però mi rasserena molto vedermi. Anche nei periodi più bui e di solitudine della mia vita, guardarmi era un modo di ricordare a me stessa che non ero sola, perché avevo me. Mi piace questa simpatia che ho verso la mia faccia, ricordarmi che, prima di ogni cosa, ho me stessa e quindi che lo specchio me lo rammenti. La moda mi diverte molto! Più contaminaz­ioni di linguaggi ci sono più sono felice. Credo che ognuno, ogni artista, lavori a un fine unico: un’esperienza forte che prenda tanti sensi. Mi piace fare incursioni in altri mondi come in quello della moda o nel teatro. Adoro l’opera lirica, specie la Salomé di Richard Strauss, e sogno di fare presto una regia».

 ?? ?? Uno dei collage di Marinella Senatore, in mostra alla galleria ADN di Barcellona, mentre in Italia è rappresent­ata dalla Mazzoleni
Uno dei collage di Marinella Senatore, in mostra alla galleria ADN di Barcellona, mentre in Italia è rappresent­ata dalla Mazzoleni
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NEL 2024 SONO PREVISTE MOLTE SUE MOSTRE IN GERMANIA, A CHICAGO E IN CINA
MARINELLA SENATORE È NATA A CAVA DE’ TIRRENI, NEL 1977. ARTISTA MULTIDISCI­PLINARE, SONO FAMOSE LE SUE INSTALLAZI­ONI CHE RICORDANO LE LUMINARIE DI PAESE. NEL 2024 SONO PREVISTE MOLTE SUE MOSTRE IN GERMANIA, A CHICAGO E IN CINA
 ?? ?? L’opera Protest Bike, dotata di due megafoni, utilizzata anche da alcuni bambini per protestare contro le mense che non davano più la cioccolata
L’opera Protest Bike, dotata di due megafoni, utilizzata anche da alcuni bambini per protestare contro le mense che non davano più la cioccolata

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