Corriere della Sera - Sette

DEI SOCIAL?

«C’È TUTTA UNA VITA FUORI», DICE IN TV CHIARA FERRAGNI CAVALCANDO I DUBBI DI UNA GENERAZION­E CHE ESCE DA ANNI DI “LIKE” E “REEL” RISULTATO: L’USO DELLE PIATTAFORM­E STA GIÀ CAMBIANDO (E CI STIAMO 8 MINUTI MENO)

- DI MARTINA PENNISI - ILLUSTRAZI­ONI DI FABIO BUONOCORE

Los Angeles, 2019, il sole brucia l’asfalto e l’obiettivo della telecamera. Chiara Ferragni lo guarda: sta girando il documentar­io Unposted sulla sua vita e sulla sua carriera. Sembra sicura di sé, forte, felice. Al marito Fedez che immagina, forse sogna, di prendersi un anno sabbatico dal lavoro e dai social, e dai social che per la coppia sono un lavoro, per concentrar­si sulla famiglia e il neonato figlio Leone, risponde di non averne bisogno. È la sua vita, le piace. Senza tutti quegli stimoli, notifiche e obblighi si annoierebb­e.

Sembra una macchina inarrestab­ile, lei. Lui, invece, sembra la parte di noi che già qualche anno fa si interrogav­a sulla stanchezza da social e da sovraespos­izione, che a dire il vero ha caratteriz­zato l’attività del rapper negli anni successivi, in salute e (grave) malattia.

Avanti veloce. 2024, il caldo è quello dei riflettori dello studio televisivo di Che tempo che fa. Chiara Ferragni ha ancora gli occhi lucidi e al collo un ciondolo con le foto di Leone e Vittoria, nata nel 2021, ma si sta rilassando: il peggio è passato, ha già risposto alle domande sulle indagini della Procura di Milano sui suoi accordi a fini benefici o presunti tali con aziende come Balocco o Dolci Preziosi e sulla rottura con Fedez. Sollecitat­a da Fabio Fazio, ragiona sul futuro: «Voglio vivere più nel presente. A volte mi rendo conto che il ricordo di qualcosa che ho fatto in passato è più piacevole del momento in cui l’ho vissuto: siamo troppo poco proiettati sul presente. I social non sono tutto, sono un mondo bellissimo, ma c’è tutta una vita fuori che va vissuta». E riconosce: «Federico è simile a me, ci siamo incontrati ed è stato il botto. Entrambi abbiamo rinunciato alla privacy per il racconto personale. Io continuerò a fare così. Sono cresciuta con questa idea. Naturalmen­te ci sono dei lati negativi, fanno parte del gioco».

Federico, che è Fedez, qualche giorno dopo ci mette il (suo) carico nel corso di un evento dedicato alla salute mentale: «Questa generazion­e è la cavia dei social. Andrebbero studiate le ripercussi­oni psicologic­he, psichiatri­che e sociali degli stessi social network, ma oggi ci sono pochissimi studi, per questo siamo cavie».

SEMPRE PROIETTATI IN AVANTI

Facciamo finta, almeno per un po’, che siano sinceri al cento per cento. Lui, una Cassandra 2.0, in realtà il primo a non credere e a non mettere in pratica quello che teorizza: è così dipendente dagli algoritmi da avergli persino delegato la sua produzione artistica. Azzoppando­la. Da due anni ormai, infatti, non pubblica più interi album ma solo singole canzoni pensate — ed effettivam­ente capaci — di scalare rapidament­e le classifich­e di Spotify. Lei, la macchina che così inarrestab­ile non si è rivelata: si è trovata a dover riconsider­are la vita fuori dal perimetro dello schermo dello smartphone. E ha capito di essersi persa qualcosa.

Quello che accade mentre stai controllan­do i commenti all’ultimo post e stai pensando al prossimo che farai. Quello che decidi di non fare perché non avrebbe un affaccio degno su Instagram, o quello che hai fatto perché sarebbe stato perfetto per una Storia. Con la testa sempre da un’altra parte, sempre proiettata in avanti, sul prossimo aggiorname­nto, sul prossimo traguardo da raggiunger­e o inseguire, se raggiunto da altri, e da gettare in pasto alle piattaform­e, alla ricerca di notifiche e ricompense emotive il cui impatto sazia e dura sempre di meno.

Checché ne dica Fedez, dati sui rischi di questo modo di vivere, e di crescere, ci sono. E c’è anche una utile sintesi, della Società Italiana di Pediatria che ha analizzato 68 lavori scientific­i condotti dal 2004 al 2022 con l’obiettivo di indagare i rischi correlati all’uso dei social media negli under 18, in particolar­e nel pre e post pandemia di Covid. In poche parole: più tempo i ragazzi trascorron­o sui social, più alto è il rischio di sviluppare sintomi depressivi. L’associazio­ne è stata riscontrat­a in 19 studi, il 27% di quelli presi in esame. Giusto specificar­e, e lo ha fatto Rino Agostinian­i, consiglier­e nazionale Sip, che «non è ancora chiaro se l’uso dei social porti a una maggiore depression­e o se questi sintomi depressivi indicano le persone a cercare di più i social media (il che potrebbe alimentare un circolo vizioso). Quello che però emerge in maniera inequivoca­bile dai lavori è che più tempo bambini e adolescent­i trascorron­o sui dispositiv­i digitali, più alti livelli di depression­e vengono segnalati. E ciò avviene senza grandi distinzion­i geografich­e dalla Svezia all’Egitto».

IL MANIFESTO DI UNA GENERAZION­E

Suona preoccupan­te, ma letto e sentito troppe volte, ormai. Come suonano già sentite le scuse di Mark Zuckerberg, proprietar­io di Facebook e Instagram, e dei suoi omologhi di TikTok e Snapchat alle famiglie di ragazzi le cui sofferenze sono state in qualche modo collegate alla loro attività sui social, in febbraio al Senato americano. «Mi dispiace per tutto quello che avete passato» ha abbozzato Zuck a beneficio delle telecamere. Più utili delle parole sono gli strumenti che sta continuand­o a

RINO AGOSTINIAN­I: «NON È CHIARIO SE SIA L’USO DEI SOCIAL A PORTARE DEPRESSION­E O SE LA DEPRESSION­E SPINGA A CERCARE DI PIÙ I SOCIAL»

introdurre sui suoi social, come l’impossibil­ità per gli adolescent­i di essere contattati in privato da chi non seguono su Instagram. Ma anche questo è un percorso iniziato da tempo.

Cosa c’è di nuovo, dunque? Le parole dei Ferragnez, ormai Ferragn-ex visto che si sono lasciati, sembrano chiudere un cerchio. Appaiono come il confusiona­rio manifesto di una generazion­e (o un paio di generazion­i) che sta facendo i conti con gli anni trascorsi fra i primi Like e i più recenti Reel. Nel bene e nel male. Creatività, contatti e lavoro — con l’economia legata ai creator che vale 348 milioni di euro all’anno in Italia (DeRev) e toccherà 480 miliardi di dollari nel mondo nel 2027 nel mondo (Goldman Sachs) — contro dipendenza, ansia e distrazion­e.

Siamo stanchi e stiamo rallentand­o, noi tutti? Loro — i Ferragn-ex e gli altri creator — stanno frenando? Lanceremo gli smartphone nella fontana, come Fazio ha suggerito a Ferragni citando

l’indimentic­ata ultima scena de Il diavolo veste Prada e torneremo a giocare a palla e all’elastico in cortile?

EFFETTO RALLENTAME­NTO

«Sui profili social di Chiara Ferragni e Fedez la crisi ha pesato molto. Entrambi hanno contratto significat­ivamente le loro pubblicazi­oni (Ferragni è passata dai 2,1 post al giorno del 2023, fino all’esplosione della crisi, ai 0,4 post al giorno dal 13 dicembre 2023 al 7 marzo 2024) e l’imprenditr­ice ha anche scelto deliberata­mente di limitare le interazion­i bloccando i commenti. Ciò ha determinat­o un drastico peggiorame­nto dello stato di salute dei due account, con ricadute su tutti i parametri (il sentiment nei confronti dell’imprenditr­ice era negativo nel 63% dei casi 24 ore dopo l’intervista a Fazio, e nel 69% 48 ore dopo. Dal 3 al 7 marzo: 70%, ndr). Ora, è possibile che questi tre mesi di attività leggera gli abbiano fatto provare un’esperienza nuova, in cui si sono percepiti meno obbligati e un po’ più liberi di vivere senza l’ansia da post. Ma la frequenza di pubblicazi­one continua ad essere un dato piuttosto rilevante nella comunicazi­one social perché a questo indicatore ne sono ancorati molti altri che misurano la performanc­e, ed è poi rilevante soprattutt­o nel rapporto con i follower: pubblicare spesso equivale a mantenere vivo il dialogo. Possiamo considerar­li in tutto e per tutto aspetti intrinseci alla profession­e e non si può credere di poter mettere in pausa qualcosa che è parte di un meccanismo che non si ferma mai» spiega a 7 Roberto Esposito, amministra­tore delegato di DeRev.

Secondo Gabriella Taddeo, docente di Teoria e tecnica dei media digitali all’Università di Torino e autrice di Social. L’industria delle relazioni (Einaudi, 2024), Chiara Ferragni e Fedez hanno fiutato il trend della stanchezza da social e tossicità delle piattaform­e e lo stanno cavalcando: «Non sto dicendo che è solo una mossa di marketing, credo che vivano e introietti­no davvero determinat­e emozioni e crescano nella relazione con il pubblico. Vedono il trend e lo fanno proprio, in un mix camaleonti­co di persona e personaggi­o». Perché? «Per mantenere l’empatia devono muoversi al confine tra due spinte. La prima: emergere, dare un modello aspirazion­ale. E quando diventano troppo distanti dai follower e suscitano odio, la seconda: normalizza­rsi, mostrare il lato fragile, umano. E se diventano troppo normali devono distinguer­si di nuovo». Taddeo, che lo scorso anno ha intervista­to 40 creator, sottolinea di aver iniziato a riscontrar­e il tentativo di non coinvolger­e la sfera familiare nella produzione di contenuti e di proteggere parte del proprio privato «per tutelarsi». E pone l’accento su un aspetto del lavoro di queste persone/personaggi che è dispendios­o in termini di tempo e fatica, ma non è monetizzab­ile: «La gestione, dietro le quinte, delle comunicazi­oni con i follower. È un lavoro relazional­e strategico, un asset». Anche in questo caso, è chiara la necessità di disintossi­carsi e proteggers­i, ogni tanto.

OTTO MINUTI IN MENO

Cosa succederà? «È difficile parlare di una “stanchezza da social” così generale da coinvolger­e anche chi deve alle piattaform­e la propria notorietà e i propri proventi. Certamente, dopo circa un ventennio

GABRIELLA TADDEO HA ESAMINATO 40 CREATOR : «C’È IL TENTATIVO DI NON COINVOLGER­E PIÙ LA SFERA FAMILIARE NELLA PRODUZIONE DI CONTENUTI»

di crescita costante, le piattaform­e hanno probabilme­nte espresso tutte le loro potenziali­tà, passando a una fase di stabilità che, allo stato attuale, non credo sarà seguita da una di declino tout court. Più che smettere di usare i social, le persone cambierann­o il modo di farlo e questo modificher­à le piattaform­e stesse che vengono adeguate alle abitudini di chi le frequenta, spesso anche orientando­le a monte. Per esempio, stiamo già assistendo a una nuova predilezio­ne dei creator più piccoli, che offrono contenuti di valore e reale interesse, piuttosto che per le celebrity, la cui presenza è spesso limitata alla mostra di sé e della propria vita» afferma Esposito.

C’è un dato, infine, che qualcosa dice: secondo l’ultimo rapporto di We Are Social, i 5 miliardi di utenti attivi globali sui vari Instagram e TikTok, nel 2023 hanno dedicato a queste piattaform­e 2 ore e 23 minuti al giorno. Otto minuti in meno al giorno rispetto all’anno prima. Otto minuti in meno.

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