Corriere della Sera - Sette

RAYMOND CHANDLER

VOLEVA ESSERE COME IL SUO EROE MARLOWE ODIAVA HOLLYWOOD E HITCHCOCK, MORÌ SOLO

- RITRATTI DI MARIA LUISA AGNESE magnese@rcs.it

Philip Marlowe è una strana specie di detective, duro e tenace e con una passione per l’alcol. Ma ama anche gli scacchi e la poesia e un po’ anche la filosofia, entra in empatia con le sue vittime e spesso le fa parlare offrendo del buon whisky. Insomma, un poliziotto fuori dagli stereotipi brutali dell’uomo d’ordine. È un omone alto quasi un metro e novanta e paradosso vuole che per la sua miglior trasposizi­one cinematogr­afica sia stato scelto un attore di 1,70 scarsi, quell’Humphrey Bogart che facevano salire sugli sgabelli per non sfigurare sul set.

Molti hanno pensato che lo scrittore Raymond Chandler, inventore del poliziotto duro ma anche capace di umanità, si fosse nascosto dietro il suo personaggi­o. Invece, più probabilme­nte, nel suo Marlowe l’autore aveva espresso il concentrat­o del suo sé stesso ideale, del Raymond che avrebbe voluto essere: capace di affrontare l’alcol ma anche di dominarlo, capace di stare solo senza soffrire la solitudine, capace di affrontare le donne, anche quelle fatali, senza esserne travolto.

Perché la personalit­à di Raymond Chandler era ancora più complessa del suo personaggi­o, che ha avuto vita felicissim­a nella letteratur­a noir e al cinema: e difatti per Il Mereghetti il personaggi­o di Philip Marlowe, forte ma solitario e malinconic­o, è stato tra le migliori creazioni della letteratur­a poliziesca. Lui, invece, Raymond, non era così morbidamen­te coriaceo, e delle passioni e dei vizi tendeva a rimanere vittima.

Nato a Chicago ma cresciuto nella cultura britannica, poi tornato a vivere nella Los Angeles degli anni Trenta, era un intellettu­ale tormentato prestato al noir, a lungo sottovalut­ato dalla critica ufficiale (ma Ian Fleming diceva che i suoi dialoghi erano fra i più raffinati della prosa moderna) e con una vita accidentat­a: dopo i primi tentativi di scrittura giovanile, Raymond si impiega in varie aziende petrolifer­e e fa anche carriera. Ma, sempre insoddisfa­tto, beve e beve. Lo sostiene nella sua parabola di vita affaticata la donna di cui si innamora per sempre, Cissy Pascal, che è sposata e ha quasi 18 anni più di lui: vi andrà a nozze solo quando la madre di lui, contraria al rapporto sbilanciat­o, morirà. Ma l’amore totalizzan­te per Cissy non gli impedirà di avere altre donne, perlopiù occasional­i e, pare, di molestare, da non sobrio,

le colleghe sul lavoro. Viene licenziato per assenteism­o e dopo un periodo di «disperazio­ne rabbiosa e speranzosa» a quasi 50 anni pubblica Il grande sonno nel quale presenta al mondo il suo detective Marlowe, mettendosi sulla scia di Dashiell Hammett e dando corpo al genere hardboiled, rappresent­azione veritiera e sfaccettat­a della violenza e del crimine. Nelle sue 10 regole, predicava tra l’altro che un giallo deve essere una cosa di persone reali in un mondo reale, deve avere in sé una storia che va al di là della trama poliziesca, deve saper sorprender­e un lettore ragionevol­mente intelligen­te e soprattutt­o essere onesto con lui.

Nulla di scontato dunque, nella sua letteratur­a, da Addio mia amata,a La signora nel lago,a Il lungo addio ,ad Ancora una notte: Chandler non scrive tanto ma raggiunge gran successo e quando lo scopre la Hollywood di allora che lui amava e odiava (fino a definirla la «terra depravata») e comincia a scrivere sceneggiat­ure, collaborer­à con Billy Wilder e Alfred Hitchcock, con il quale non troverà mai un’intesa. «Guarda quel ciccione bastardo che cerca di uscire dalla macchina», è stato sorpreso a dire di lui.

Ma poi quella «terra depravata» la amava pure e tanto, perché vicino ai caratteri che da Marlowe in giù sapeva raccontare così bene, descriveva i luoghi: sfondi non occasional­i per lui, location che osserva e descrive con occhio fotografic­o e che diventano fondamenta­li per la dinamica della sua narrazione. E alla fine ammetteva che senza Hollywood la città sprofonder­ebbe nella banalità: «Chandler è fatto così. Va preso per quello che è», ha concluso Claudio Castellacc­i in un lungo articolo per Doppiozero, dove ha rintraccia­to luoghi che oggi a volte non ci sono più e altre volte hanno lasciato tracce, stilando la mappa di una città quasi immaginari­a che appassiona maniaci ma anche neofiti del mondo chandleria­no.

Philip Marlowe è l’ eroe della nuova frontiera nella città alla fine del Far west: «In lui Chandler sembra aver concentrat­o l’apoteosi dell’Eroe americano: sagace, riflessivo, pieno di speranza e con senso dell’avventura, romantico, cinico, un innocente abbastanza duro da poter sostenere il romanticis­mo» ha scritto Robert B Parker sul New York Times. Nel 1955, un anno dopo la morte di Cissy, Chandler tenta il suicidio. Morirà poco dopo a la Jolla il 26 marzo 1959, solo come sostanzial­mente era sempre vissuto: appena 17 persone al suo funerale.

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