LA DISFIDA DI PIOLTELLO E QUELLO CHE SUCCEDE NELLE SCUOLE ITALIANE
Pioltello, provincia est di Milano, 40 mila abitanti e una comunità di immigrati in crescita. Famiglie che arrivano soprattutto dal Maghreb e dall’Asia. Tra loro, quelle di fede musulmana rappresentano la maggioranza. Nel comprensorio scolastico (1.300 allievi) intitolato a Iqbal Mashih, il piccolo operaio pachistano che si ribellò al lavoro minorile e venne ammazzato nel 1995 quando aveva 12 anni, la percentuale di alunni e alunne di altre nazionalità arriva al 43 per cento. Ma se consideriamo gli italiani di seconda generazione si sale al 50: uno su due.
In questo perimetro minuscolo si è generato un conflitto gigantesco per i riverberi possibili, che ha via via coinvolto il preside dell’istituto, la sindaca, la diocesi e la Curia, vari ministri del governo nazionale, media di destra e sinistra, il solito sciame di odiatori sul web e persino un gruppuscolo vecchia maniera che ha srotolato uno striscione di ingiurie davanti al cancello dove ogni mattina si presentano gli scolari per imparare a stare nel mondo.
Sono ormai passati alcuni giorni, proviamo a riassumere come è cominciata. Il Consiglio di istituto (organo elettivo di cui fanno parte insegnanti, genitori, collaboratori) aveva deciso all’unanimità di sospendere le lezioni il 10 aprile per la festa di fine Ramadan. Come mai? Perché quando si arriva a Eid-el-Fitr le classi si dimezzano o svuotano quasi del tutto; meglio non sprecare ore, hanno giustamente pensato a Pioltello, e cominciare l’anno un giorno prima. Esiste un decreto del presidente della Repubblica, il numero 275 del 1999, che disciplina l’autonomia scolastica e che all’articolo 5 dice che «gli adattamenti del calendario sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in relazione alle esigenze derivanti dal piano dell’offerta formativa (…)».
Tutto regolare? Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha obiettato: «Le scuole non possono stabilire nuove festività». Da qui la chiamata a «verificare le motivazioni». A intercettare eventuali «irregolarità» nella pratica. E la successiva richiesta di «valutare la disapplicazione» della delibera, firmata dall’Ufficio Scolastico Regionale lombardo
Nel frattempo, in tutta Italia, soprattutto nelle aree metropolitane (in quella milanese, per esempio, un istituto su 5 registra oltre il 30% di immigrati tra i nuovi iscritti), ci sono scolari che digiunano per il Ramadan. Non solo alle medie, a volte già dalla terza elementare. I genitori musulmani vengono di solito autorizzati a ritirare i figli all’ora della mensa per riconsegnarli al pomeriggio. Molti però non ce la fanno, sta allora agli insegnanti predisporre «attività alternative». E quando anche questo si rivela impossibile, per mancanza di personale, non resta che lasciare i digiunanti seduti in refettorio accanto ai compagni «che sanno di non dover offrire loro cibo», come spiegano i ragazzi stessi.
Attorno a questi mutamenti, che “il personale docente” registra per primo e spesso in solitudine, possiamo duellare e anche insultarci all’infinito, armati delle nostre ragioni e convinzioni, religiose o laiche, conservatrici e progressiste. Ma ci sono regole che vanno ora studiate e coordinate per tutto il Paese, puntando a un aggiornamento dell’accordo tra il governo e le associazioni islamiche, lasciato pigramente incompiuto nel guado di incomprensioni e latitanze. Quel “Patto nazionale per un islam italiano” che quando venne firmato, nel 2017, era pensato soprattutto per prevenire le radicalizzazioni e che dovrebbe adesso considerare suo primo obiettivo l’armonizzazione delle vite giovani. Nella consapevolezza che non può comunque esistere una società parallela dentro lo Stato. E che quando norme e consuetudini vanno a confliggere, devono vincere la Costituzione e le leggi italiane. Non possono esserci usci sbarrati a fare da confine e confino.
La scuola è il centrocampo dell’integrazione. Il centrocampo, la difesa e pure l’attacco. Uno spazio di osservazione privilegiata, dove le storture possono essere intercettate e appianate in tempo. Un luogo protetto dalle diseguaglianze, dove seminare una cittadinanza fondata sull’esperienza diretta dell’equità e la passione per la libertà di espressione. Radicalizzare, infiammare ogni confronto non ci aiuterà a riconoscerci.
UNA GIORNATA GUADAGNATA O UNA FESTIVITÀ FUORI REGISTRO? NUOVE REGOLE COMUNI SONO PIÙ UTILI DEGLI INSULTI