L’EVASIONE FISCALE È UN PROBLEMA CULTURALE NON SOLO ECONOMICO
Cara Lilli, davvero la riforma del fisco proposta da Giorgia Meloni aiuterà il ceto medio? «Gentile cittadino, risponde il Cup dell’ospedale da lei contattato. Mi spiace dirle che per l’esame diagnostico da lei richiesto c’è una lista d’attesa di un anno e mezzo. Questo è dovuto in larga parte al fatto che in Italia l’evasione fiscale è stimata fra gli 80 e i 90 miliardi ogni anno, e di conseguenza servizi come sanità, scuola, sicurezza e welfare non hanno gli stanziamenti necessari a garantire standard di efficienza adeguati. Considerando che un italiano su due non paga tasse, è molto probabile che lei conosca diversi evasori: parlo di chi non rilascia fattura, di chi intesta beni a parenti e amici, di chi elude l’Iva, di chi costruisce “scatole cinesi” con le sue società, di chi offre o svolge lavoro in nero, di chi si dichiara nullatenente pur non essendolo. La prossima volta che ne incontra uno, non abbia nei suoi confronti un sorriso di compiaciuta indulgenza per la sua furbizia, ma lo chiami con il suo nome: ladro. Intanto, se vuole curarsi in tempo, si rivolga al privato». Questa sopra riportata è una conversazione di fantasia. Nel nostro Paese non esiste una condanna sociale diffusa per chi evade il fisco, soprattutto perché dalla politica arriva un messaggio opposto. Da Berlusconi che «non metteva le mani nelle tasche degli italiani» a Giorgia Meloni che in Sicilia definisce le imposte «pizzo di Stato» o sostiene orgogliosa che non dirà mai che «le tasse sono bellissime» (come se questo fosse il punto), la linea vincente è strizzare l’occhio a chi non paga. Prova ne sono anche le decine di condoni che hanno caratterizzato molti dei governi degli ultimi 20 anni.
Conosciamo gli arabeschi dialettici con cui viene giustificato questo atteggiamento: il sistema fiscale è farraginoso, «vessatorio» (anche questo copyright di Meloni), «le tasse sono troppo alte» (come se questa non fosse conseguenza del fatto che le pagano in pochi) e poi ancora nuove categorie dello spirito come «l’evasore di sopravvivenza». Tutto vale nella grande assoluzione nazionale. Perché la verità è che gli evasori votano.
I dati in Italia sono vergognosi, per non dire ridicoli: ad esempio, solo l’1,2% dei contribuenti dichiara di guadagnare più di 100 mila euro annui. E solo il 14% paga quasi i due terzi di tutte le tasse che incassa l’erario. Quindi pochi pagano per servizi che tutti usano. Il governo intanto si vanta del record di recupero dell’evasione fiscale ottenuto dall’Agenzia delle Entrate nel 2023, senza però ricordare – come fatto da Carlo Cottarelli – che «quasi tutto l’aumento è dovuto alla rottamazione delle cartelle, cioè a una forma di condono. E i condoni incoraggiano le prosecuzioni di comportamenti evasivi». La realtà è che di nuove norme contro l’evasione fiscale in questi 18 mesi di governo Meloni non ne è stata varata neanche una. Evidentemente i rave party erano un’urgenza più impellente. Il punto, oltre che economico, è culturale: finché questo tema non verrà messo al primo posto dell’agenda dei nostri governanti, le cose non cambieranno. E il «fisco amico» voluto dalla Meloni si rivelerà «amico» dei soliti ignoti, cioè di quelli che non pagano nulla o meno del dovuto. Almeno, la prossima volta che ci lamentiamo di sanità, scuola e welfare, guardiamoci prima allo specchio.
I DATI SONO VERGOGNOSI: SOLO L’1,2% DEI CONTRIBUENTI DICHIARA DI GUADAGNARE PIÙ DI 100MILA EURO ANNUI