Corriere della Sera - Sette

«SE L’EUROPA AVESSE AVUTO UN ESERCITO PUTIN NON AVREBBE ATTACCATO L’UCRAINA»

Il professore ragiona su quello che manca all’integrazio­ne: «Oggi l’Ue è come un buon pane, ma metà cotto e metà crudo». E sul voto di giugno: «Il governo italiano è equivoco. Se c’è bisogno darà appoggio a von der Leyen, facendolo poi pagare, e al contem

- DI MARCO ASCIONE - FOTO DI ADA MASELLA

Meglio guidare la commission­e europea o fare il presidente del Consiglio in Italia? «Dipende dai momenti. A Bruxelles avevo la chiara idea che il nostro lavoro fosse destinato a passare alla Storia. E la Commission­e, allora, era davvero il motore d’Europa. Non ho mai negato che lì mi sarebbe piaciuto restare. Ma con la fine del mio mandato terminò un ciclo. Il grande impulso a un’Europa organica svanì con il no dei francesi al progetto di una Costituzio­ne europea».

Romano Prodi risponde davanti a un platea composta prevalente­mente di studenti, nell’aula magna della Sapienza, a Roma, in occasione di Obiettivo 5, evento organizzat­o da @27esima ora, iO Donna e il medio civico Le Contempora­nee, in vista del voto europeo di giugno.

Professore, com’era la sua vita a Bruxelles? Più “noiosa” che a Roma?

«Bisogna intendersi su che cosa significhi noiosa. Roma è un happening, un luogo dove tutto è soggetto a un mutamento continuo. Bruxelles è su un altro meridiano: diversa l’organizzaz­ione, con orari fissi, procedure magari complesse, ma scandite da un ordine del giorno. L’agenda, lì, è definita. Bruxelles è il luogo ideale per lavorare bene, anche perché è una sorta di città aperta. Fatto non secondario per un politico europeo: non si avverte alcuna pressione dal governo belga».

Lei ha citato la Costituzio­ne europea. Lo scontro fu anche sulle radici giudaico cristiane che mai la Francia avrebbe riconosciu­to. Parigi, anche nel nome della propria laicità intesa come un valore fondante, ha appena inserito l’aborto in Costituzio­ne. Lei concorda?

«Lo scontro vero per i francesi non fu sulle radici giudaico cristiane, ma si arrivò alla bocciatura della Costituzio­ne per la combinazio­ne fra l’opposizion­e popolare nei confronti del presidente della Repubblica, che era favorevole, e la grande spin

«L’ALLARGAMEN­TO? NON FU ESAGERATO, COME MOLTI HANNO SOSTENUTO. SE NESSUNO OGGI TOCCA LA POLONIA È PERCHÉ È DENTRO L’UNIONE EUROPEA»

ta nazionalis­ta che sempre alimenta gli ex imperi. Rispetto al tema dell’aborto, invece, una cosa è riconoscer­lo come diritto, un’altra inserirlo in Costituzio­ne». Secondo l’ultimo dato dell’eurobarome­tro di Ipsos il 47 per cento degli europei tende a fidarsi della Ue contro il 45 che tende a non fidarsi. Il trend complessiv­o non è particolar­mente negativo, ma certo non la si può definire una esplosione d’amore. Parafrasan­do Thomas Eliot, che parlava della Chiesa e dell’umanità, è l’Unione Europea che rischia di abbandonar­e gli europei o viceversa?

«La risposta è semplice. La gente ama l’Europa quando l’Europa c’è. Quando a Bruxelles si comincia a cincischia­re, a giocare sulle piccole cose, a esagerare con le mediazioni, allora sì che le persone si chiedono: ma che cosa ci sta a fare l’Europa? A moltiplica­re le regole? Ci vogliono ambizioni grandi. Io uso dire che l’Europa è un buon pane, il migliore che ci sia, ma è mezzo cotto e mezzo crudo. Se noi non lo cuociamo del tutto, la gente si stanca». È un’Europa ingolfata anche dalle sue stesse regole.

«Certo. Quando una decisione deve essere adottata all’unanimità significa non adottarla. Sui problemi più importanti non si può pensare di essere tutti d’accordo. E’ inconcepib­ile che il no di uno dei 27 blocchi tutti gli altri Paesi. Nell’euro entrammo in 12 perché non occorse l’unanimità e siamo già arrivati a 20».

In questo contesto così contrastat­o, proprio il livello di gradimento per la moneta unica continua a mantenersi su livelli alti: il 71% di europei è favorevole.

«Per forza, perché l’euro c’è. Quando le cose si fanno, il gradimento corrispond­e. La moneta e l’esercito sono i pilastri di qualunque struttura politica. Ricordo ancora i bilaterali con la Cina in cui al presidente cinese interessav­a solo l’euro e chiedeva: posso prendere la vostra moneta nella mia riserva? Così veniva riconosciu­to il ruolo dell’Europa come uno dei grandi attori del mondo».

Ursula von der Leyen dice: la guerra non è impossibil­e, l’Europa si armi. Assistiamo a un’escalation oppure la guerra alle porte sta dando all’Europa, così come accaduto per il Covid, una nuova consapevol­ezza di sé stessa?

«Penso proprio, anche se non ne posso avere alcuna prova, che se l’Europa avesse avuto un esercito la Russia non avrebbe aggredito l’Ucraina. L’esercito europeo va fatto subito. La gente si chiede: quanto mi garantisce questa Europa? Se rimaniamo con 27 eserciti e 27 stati maggiori dove pensiamo di andare? Soldi buttati via».

Le parole “armi” ed “esercito” sono un tabù a sinistra?

«No, la Difesa è un capitolo essenziale per l’Europa. Ciò che manca, e non adesso, è la capacità di mediazione che porta alla pace. Questa è la grande missione dell’Europa».

Il presidente francese Emmanuel Macron è particolar­mente attivo in questa fase. Al punto da ipotizzare l’invio in Ucraina di truppe occidental­i. A che gioco gioca Parigi?

«Il presidente francese ama fare il primo della classe. Io dico: possiamo pensare a un esercito europeo in cui un Paese, la Francia, ha l’arma nucleare e il diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, e gli altri no? Non si può fare il primo della classe e rifiutarsi di comprender­e quali sono i compiti del primo della classe». Esiste il pericolo della “narrazione russa”, il rischio che le elezioni europee siano infiltrate dalla disinforma­zione?

«Certo che esiste. Ma bisogna essere intellettu­almente onesti. Si tratta di meccanismi tragicamen­te normali nel mondo di oggi. La Russia si sta organizzan­do come fanno gli imperi per questo obiettivo. Ma non sono gli unici. Purtroppo gli imperi sono in grado di farlo con più forza. E qui torniamo all’Europa. Noi non siamo in grado di affrontare uniti questi nuovi sistemi di comunicazi­one e di convinzion­e. Le prime 20 grandi imprese digitali al mondo sono quasi tutte americane o cinesi».

Nel Pse, in primis la segretaria del partito democratic­o Elly Schlein, si minaccia di non sostenere Ursula von der Leyen se dovesse fare accordi con i conservato­ri dell’Ecr. Intese che non paiono così improbabil­i, visti gli ottimi rapporti della presidente della Commission­e Ue con Giorgia Meloni.

«La posizione del nostro governo è meraviglio­samente equivoca. Se c’è bisogno darà un appoggio a von der Leyen e lo farà pagare, ma al contempo sta con il signor

Orbán. Von der Leyen rimarrà, io credo, presidente della commission­e e agisce come tale. Va in giro, abbraccia e bacia». Tutto quello che sta accadendo

– la guerra in Ucraina, la spinta espansioni­stica di Putin, la crescita dei movimenti populisti e anti Ue in Polonia e Ungheria – sta dando torto o ragione a quell’allargamen­to a Est da lei fortemente voluto (e ottenuto)?

«I fatti di oggi mi danno ragionissi­ma. Qualcuno mi diceva: hai esagerato con l’allargamen­to. E oggi invece le stesse persone si chiedono: se la Polonia fosse come l’Ucraina, come andrebbe a finire? La Polonia non la tocca nessuno perché è membro dell’Unione europea».

Ci dobbiamo paradossal­mente augurare una vittoria di Trump n perché un’Europa più sola sia costretta a prendere in mano il proprio destino?

«L’Europa non può essere sola perché il Patto Atlantico è indispensa­bile per difendere il mondo democratic­o insieme. Però la Ue deve avere una voce nel Patto Atlantico. Non siamo mai stati uniti nelle grandi decisioni come la guerra in Iraq o gli interventi in Libia. Francia e Gran Bretagna, con l’incauto appoggio dell’Italia, non sarebbero neppure riusciti a sconfigger­e Gheddafi, se non ci fossero stati gli americani che fornivano munizioni e l’appoggio di comunicazi­one e di logistica».

Il Green Deal, il pacchetto di iniziative della Ue per la transizion­e verde, che tante proteste ha suscitato, è stato un passo avventato?

«Il Green Deal va nella direzione giusta, ma anche nel Green Deal deve esistere il buon senso».

Perché un giovane europeo dovrebbe andare a votare?

«Perché se vincono gli euroscetti­ci si continuera­nno a fare le piccolo cose. Mentre noi abbiamo bisogno di un’Unione che agisca. Dobbiamo prendere le grandi decisioni. Così come accadde quando l’Europa nacque. E poi con l’euro, l’allargamen­to, la costruzion­e del mercato commune. E l’Erasmus, che è un meraviglio­so investimen­to per il futuro».

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Romano Prodi, 84 anni, due volte premier e presidente della Commission­e europea dal 1999 al 2004
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