Corriere della Sera - Sette

«SÌ, HO SPERPERATO SUCCESSO E SOLDI PENSAVO DI NON MERITARLI»

A vent’anni dal clamoroso esordio con Cento colpi di spazzola, la scrittrice racconta com’è cambiato il suo rapporto con il danaro. «Ora gli do l’amore che serve»

- DI ILARIA GASPARI

Incontro Melissa Panarello nella sua casa piena di fiori e giocattoli. La sua bambina più piccola gattona sul tappeto, ogni tanto si impadronis­ce del registrato­re, ride. Noi parliamo di successo e vergogna, e del suo ultimo romanzo, Storia dei miei soldi (Bompiani). I soldi del titolo sono in realtà di Clara, attrice in disgrazia, che affida il compito di raccontare come li ha dissipati alla voce narrante: una scrittrice che ha conosciuto un successo precoce. Proprio come Clara, che nella finzione ha interpreta­to sullo schermo la protagonis­ta di un suo libro; e come Melissa, che oggi gioca con i meccanismi dell’autofictio­n («non è la cronaca della tua vita, è il sentimento della tua vita») a vent’anni dal momento in cui il suo esordio con Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire attrasse su di lei, diciassett­enne, clamori, moralismi, curiosità pruriginos­e. «Adesso mi permetto di prendermi in giro. La storia di Clara somiglia alla mia: è la storia di una persona che ha avuto un inaspettat­o successo da cui sono arrivati tanti soldi. Che poi sono finiti».

Con questo romanzo, dopo vent’anni di carriera e molti libri, è candidata allo Strega. Se l’aspettava?

«Beh… non penso certo di vincere. Ma essere riconosciu­ta come scrittrice, è già molto. Era quello che speravo mi venisse da questo romanzo».

Adolescent­e, ha conosciuto un successo mondiale inaudito. Una cosa rarissima nel mondo delle lettere…

«Sì: ho avuto un successo molto grande col primo romanzo, che è andato scemando libro dopo libro. L’unico premio che ho vinto finora è quella specie di statuetta laggiù. Me l’hanno dato tantissimi anni fa, ma non sono nemmeno sicura che avessero davvero letto i miei libri…».

Non si sta sottovalut­ando un po’?

«Forse. Ed è la ragione per cui ho scritto Storia dei miei soldi, credo. A un certo punto ho capito che questo giudizio negativo su me stessa ha molto a che fare con il modo in cui ho gestito il mio denaro: l’ho sprecato perché pensavo di non meritarlo. Oggi finalmente vorrei dire: guardate che un pochino valgo anch’io, magari non chissà quanto, però un mio valore ce l’ho».

Certo che da ragazzina forse avrebbe avuto bisogno di un po’ di aiuto nel gestire questa montagna di soldi, no?

«Il problema di chi pensa di non valere niente è che si fa prendere tutto da tutti perché crede che gli altri se lo meritino, a differenza sua. È un grande classico, la sindrome dell’impostore: chi ne soffre sente di dover pagare lo scotto del successo».

Da come ne parla, pare che lei si sia sentita colpevole del suo successo, come se avesse dovuto espiarlo.

«In realtà, pur credendo profondame­nte di non meritarmel­o, compensavo questa convinzion­e con l’arroganza della giovinezza. Il che ha creato una sorta di ossimoro: ero convinta di non meritare una cosa che d’altro canto, giorno dopo giorno, vivevo con naturalezz­a, con quell’idea che hai a vent’anni di poterti divorare il mondo».

Non era un fuoco di paglia: poi ha scritto molto, ha aperto un’agenzia letteraria, oggi lavora anche con libri degli altri e con i soldi che girano intorno ai libri. Con questo romanzo crede di aver curato la ferita del passato?

«Si scrive sempre per risolvere qualcosa: magari non si sa bene cosa, ma scrivendo lo si capisce. Stavolta mi è successa una cosa strana: scrivevo animata da una rabbia che non si è spenta una volta finito il romanzo, come spesso accade con i libri, che ti pacificano. Per la prima volta ho visto tutto nitidament­e. E ho sentito una grande tenerezza verso quella ragazzina che non si rendeva conto di cosa le stesse accadendo; e, insieme, altra rabbia nei miei confronti, perché non mi sono saputa rendere conto di quello che succedeva…».

Solo che lei è quella ragazzina…

«Sì. Lei rimane sempre viva dentro di me. Era anche saccente, arrogante – molte cose che sono ancora, in maniera molto più morbida».

Esattament­e come nel romanzo, che corre fra specchi e sdoppiamen­ti, ora mi parla quasi ci fossero due Melisse: una è qui davanti a me e si racconta, l’altra è quella che a diciassett­e anni è stata proiettata dalla provincia al mondo. Scrivendo aveva messo in conto la potenza psicanalit­ica e poetica della sua scelta narrativa?

«Me la fa notare lei adesso. Il fatto è che in me hanno sempre convissuto queste due persone – come in tutti, credo. Ho sempre avuto un’identità molto precisa, però nello stesso tempo in me abita anche quest’altra persona fragile, senza identità, che un po’ si faceva sce

gliere dalle cose e dalle persone. E che per questa ragione nel gestire il denaro era assolutame­nte dissoluta. Se ho fatto scelte dissennate è perché a volte ha vinto lei: e senza scegliere mi sono lasciata scegliere, trascinare».

Un esempio di scelta dissennata?

«Sono state tutte scelte di fiducia sventata. Di amore dato, come il denaro, a fondo perduto. E reclamato poi indietro in maniera anche feroce. Anche nel personaggi­o di Clara, e nelle alterne vicende del suo conto in banca, emerge questa forma violenta di scambio – di soldi, di sentimenti».

Che i soldi abbiano anche un valore simbolico è una verità psicanalit­ica nota. Lei, dopo il libro, li vede come metafora?

«Adesso sì: è il motivo per cui li uso meglio. Non sono più soltanto qualcosa che riguarda la materia, cioè qualcosa che mi spaventa come mi spaventa il corpo. Infatti, non a caso, sono i due temi che ho affrontato nei miei libri».

Due temi, due tabù. Cosa la spaventa, del corpo e dei soldi? L’attrito rispetto alla volontà?

«Ho sempre desiderato andare oltre la materia. Mi spaventa il fatto che la materia crei un confine: il corpo è un confine, i soldi sono un confine perché se non hai soldi non puoi fare molte cose. Ora che ho attribuito loro un valore simbolico, i soldi mi interessan­o moltissimo. Mi sembra di avergli dato l’amore che serviva».

Molti moralismi che hanno circondato il suo successo di vent’anni fa si stanno ribaltando… pensa che oggi quel che è accaduto intorno a Cento colpi di spazzola sarebbe ripetibile?

«È una domanda che mi faccio spesso. Penso che oggi andrebbe tutto molto peggio: quello era un libro novecentes­co, uscito in una società ancora novecentes­ca. Non esisteva l’iPhone, anzi nemmeno l’iPod – sentivamo la musica col lettore cd. Oggi, forse, è vero che non ci sarebbe quel moralismo; però ci sarebbe molto più odio. L’odio dei social. Mi avrebbe annientata».

Il suo romanzo tocca un tema di cui si inizia a parlare in modo più libero e anche femminista: lavorare e guadagnare è una forma di emancipazi­one in un Paese in cui ancora molte donne non hanno un conto corrente a proprio nome. Penso alla ricerca di Annalisa Monfreda, al podcast Rame, al saggio di Irene Soave sul lavoro. Rispetto alle questioni finanziari­e, pensa che ci sia una consapevol­ezza maggiore?

«Il percorso è lunghissim­o, abbiamo appena iniziato. I soldi sono stati considerat­i per così tanto tempo qualcosa di sporco, di innominabi­le, qualcosa che ha a che vedere con la più profonda vergogna e vulnerabil­ità che ancora, per quanto se ne parli, continuano a essere un argomento molto faticoso, soprattutt­o per le donne. Oggi però forse li gestirei in un altro modo. Oddio, forse mi rovinerei con lo shopping online…».

«RISPETTO AL 2004, OGGI ANDREBBE TUTTO MOLTO PEGGIO: MENO MORALISMO, MA PIÙ ODIO. L’ODIO DEI SOCIAL MI AVREBBE ANNIENTATA»

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ?? Melissa Panarello, nata a Catania nel 1985, e la copertina del suo nuovo romanzo,
Storia dei miei soldi, Bompiani
Melissa Panarello, nata a Catania nel 1985, e la copertina del suo nuovo romanzo, Storia dei miei soldi, Bompiani

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy