«NOI, GENERAZIONE 2000 L’ETÀ IN CUI TI CHIEDI: CHE NE FACCIO DI ME?»
Bagai segna l’esordio del giovane autore, cresciuto in provincia di Cremona. «Mentre scrivevo, il Po era senza acqua. Ho sempre sentito cose negative sul futuro»
i ha mosso il sentimento di quasi indifferenza che provavo durante l’adolescenza. Il “quasi” rende l’idea di qualcosa che non si completa. Il fatto di non trovare una connessione con il resto del mondo. Sentire che esiste, piano e male.
È da questo che sono partito per raccontare Bagai».
Samuele Cornalba ha impiegato più di un’ora per arrivare a Milano dalla sua Pandino, il piccolo comune in provincia di Cremona dove è cresciuto insieme ai genitori, a una sorella e a un fratello. Ha frequentato il liceo scientifico a Crema, prima di innamorarsi della letteratura e frequentare una scuola di scrittura (Belleville) e un master in editoria. A inizio 2020, mentre il mondo stava per chiudersi in casa, ha scritto la sua opera prima, ora pubblicata da Einaudi, dal titolo Bagai. Cornalba è nato nel 2000, dunque, a inizio lockdown, dell’adolescenza aveva un’idea ancora chiara. E quelle emozioni, quel misto tra angoscia e insicurezza, con tante domande e poche risposte, le ha riportate con una penna sincera, pulita e priva di cliché, attraverso gli occhi di Elia, un adolescente irrequieto che si porta dentro la perdita della madre. Il rapporto con il padre è di quasi indifferenza, sentimento che caratterizza anche la relazione con gli amici, Andrea e Camilla.
Perché Bagai?
«È dialetto. Non lo parlo ma lo capisco e ho voluto inserirlo in alcune parti del libro. Chiamavo i miei nonni per chiedergli come scrivere certe parole».
E cosa significa?
«Ragazzo o ragazzi. È sia singolare che plurale, quindi si rivolge a quella generazione che conosco. E indica la fase della vita in cui ti chiedi “chi sono io?”, riportandone un’idea di smarrimento. Oltre a qualificare la provincia. L’unico difetto è che è solo maschile».
Bagai è ambientato a Pandino, un paese dove dici esserci «più bar che persone interessanti».
«È vero. Ho sofferto molto anche l’assenza di una libreria. Quando dovevo scegliere le coordinate della storia, sentivo come se il paese dovesse darmi l’autorizzazione per ambientarla lì. In realtà, lo ritengo un atto di amore averlo fatto». Anche l’irrequietezza che vive Elia è autobiografica?
«No. A diciott’anni ero curioso. Volevo andare oltre il paese».
A un certo punto scrivi: «Tra tre giorni compio diciannove anni e non so che farmene».
«Questa frase sì, è autobiografica. I diciannove cadono durante l’ultimo anno delle superiori, un’età delicata. Pensi: sono alla fine di ciò che conosco e devo iniziare qualcosa di nuovo; quindi, cosa
devo farci con questo Samuele? Nel personaggio di Elia si aggiunge anche il disinteresse».
Il suo disinteresse per il futuro ricorda l’ansia di alcuni giovani che non sanno come o se arriverà mai, un futuro.
«Tra i miei ex compagni di liceo in pochi sapevano cosa fare dopo. Alcuni volevano continuare con l’università solo per mettere in pausa la ricerca di un posto nel mondo. La mia generazione, quella del 2000, è cresciuta in un Paese in declino. Io ho sempre sentito cose negative sul futuro».
I dati dicono che c’è un aumento di problemi legati alla salute mentale tra i giovani, ma al tempo stesso mi sembra ci sia una crescente richiesta di aiuto e maggiore consapevolezza. Eppure, molti adulti reagiscono sostenendo che ogni generazione vive guerre e momenti bui.
«È vero, i momenti di difficoltà ci sono sempre stati. Ma solo negli ultimi quattro anni abbiamo vissuto: un lockdown, la guerra in Ucraina e ora il conflitto in Medio Oriente. Poi, a mio avviso, il cambiamento climatico è l’ipoteca più grande che vedo sul mio futuro. Mentre scrivevo il Po era senza acqua. Anche i discorsi sulla qualità dell’aria che ho inserito sono tristemente attuali. Da una parte c’è uno scenario complesso, dall’altra è aumentata la consapevolezza nell’affrontare queste problematiche non ricacciandole sotto il tappeto».
Alle tematiche ambientali, ma anche al futuro e alla politica, si interessa Andrea, il migliore amico di Elia, che ha aderito alla campagna dei Fridays For Future. Le manifestazioni non violente di Ultima Generazione ed Extinction Rebellion sono arrivate dopo la scrittura di Bagai, ma che idea ti sei fatto delle loro azioni?
«Una parte di me pensa che se protesti, ma non sei scomodo, che senso ha? Personalmente ho seguito di più i Fridays For Future, sono andato anche ad alcune manifestazioni, c’era entusiasmo».
Tra le toppe che decorano lo zaino di Andrea ce n’è una con la bandiera dell’Unione Europea. In generale, il tema dell’attivismo politico torna in Bagai. Eppure la narrazione di oggi è che non ci sia interesse da parte dei giovani per questi argomenti. Sei d’accordo?
«Non vorrei mai farmi portavoce di una generazione intera, ma dalla mia esperienza noto un fervore politico che magari non si applica a un partito o a una militanza in particolare, ma a temi più classici come i diritti civili, il femminismo, i diritti della comunità lgbtq+, ma anche l’eutanasia, la legalizzazione della cannabis e il clima. Quindi no, non mi sento di dire che siamo una generazione che non si interessa al discorso pubblico».
Tornando a Elia, il suo turbamento è legato anche alla morte prematura della madre. E la presenza del padre non basta. Anzi, c’è un distacco tra i due.
«Durante la fase di editing ho reso la figura di Carlo, il padre, più complessa, per rendere il loro rapporto sfumato. Solo una volta concluso il libro mi sono accorto che entrambi demandano ai regali e agli oggetti argomenti vulnerabili e troppo intimi. Il padre gli regala un orologio che apparteneva al nonno». (Cornalba si interrompe, si tocca il polso e slaccia il cinturino dell’orologio, poi lo gira e passa un dito sull’incisione: «È autobiografico, anche mio padre mi ha regalato l’orologio di mio nonno, vedi, c’è il suo nome»).
Un altro oggetto a cui hai delegato grande potere è un libro appartenuto alla madre, che Elia studia in modo quasi ossessivo soffermandosi sulle sottolineature, come per ritrovarla tra quelle righe.
«Mi piaceva inserire piccoli elementi di rottura, senza approfondire chi fosse lei. E quindi ho fatto sì che Elia si arrabbiasse per cose futili come la scrittura della madre, che non gli piace. L’idea che si era fatto di lei non coincide con la realtà, e questo lo turba. Mi hanno ispirato i libri del liceo di mia madre che sono giunti fino a me. Leggere una cosa sottolineata da un’altra persona le fa quasi cambiare il senso. Ti fermi a capire perché l’abbia fatto».
Alla fine dei ringraziamenti scrivi: «Questo esordio è per mia madre: te l’avevo detto».
«È un gioco che ho con lei. Io le racconto quale sarà la mia strada, fantasticando, e lei mi riporta con i piedi per terra. Da lì il “te l’avevo detto”. Quando l’ha letto si è commossa. È stato bello». Altri libri nel futuro?
«Ho qualche suggestione, sento che il secondo arriverà. Ma ora ho bisogno di vivere, per incamerare esperienze. Ogni giorno cerco di segnarmi qualcosa: bozze di racconti, riflessioni personali… Questa attenzione a catalogare i momenti che vivo mi aiuta anche ad avere una visione più chiara della mia vita e ad apprezzarla di più».
«AL LICEO, POCHI SAPEVANO COSA FARE DOPO. ALCUNI USAVANO L’UNIVERSITÀ PER METTERE IN PAUSA LA RICERCA DI UN POSTO NEL MONDO»